All’ombra dei grattacieli di Milano, il food sforna un’apertura dietro l’altra. Si punta sull’eccellenza accessibile. Ecco una lista dei ristoranti ‘prêt-à-manger’.
di Caterina Zanzi
La ricetta è facile: prendere una manciata di chef ipernoti (da Oldani a Berton, da Cracco fino a Sadler), trasferirli dalle loro cucine stellate ad ambienti minimal con quel tocco ‘hipster’ tanto in voga a Milano, e mescolare finché non portano in tavola piatti creativi e conti popolari. ‘Minima spesa, massima resa’, questo sembra il motto delle aperture che si susseguono sotto la Madonnina. Una svolta concettuale che conferma il momento di fermento che la città sta vivendo (vedi articolo pagine precedenti). E che contribuisce ad alimentare l’entusiasmo. In questo caso, di tutti, dai clienti smanianti di provare ‘un nome’ che in altre circostanze non potrebbero permettersi, agli stessi ristoratori che, aprendo un bistrot ‘da battaglia’, migliorano notevolmente il loro conto economico.
In ritardo rispetto ad altri settori, la gastronomia è arrivata a sostenere la tesi, già confermata in altri ambiti, che alla buona qualità non debba per forza corrispondere una spesa da capogiro. Dai tempi di Oldani, che dieci anni fa a Cornaredo, hinterland non certo ridente di Milano, aveva aperto D’O sorprendendo clienti e critici grazie alla sua cucina creativa a prezzi abbordabili, i tempi sono decisamente cambiati. Nessuno si stupisce più di trovare locali in cui l’alta cucina si sposa con prezzi da osteria. Anzi, la tendenza ad aprirne di nuovi è sempre più forte, tanto che si perde il conto delle cucine di chef stellati dai prezzi contenuti.
A Milano, le creature più ‘speciali’ di questo genere sono state Un Posto a Milano di Nicola Cavallaro e Pisacco di Andrea Berton. Il primo, nella cornice della Cascina Cuccagna, mette in tavola ricette semplici preparate con ingredienti a chilometro zero, proponendo un menu a prezzo fisso per il pranzo a 15 euro. Berton, ex del Trussardi alla Scala, firma una carta ‘minimal’ sia nelle proposte che nei prezzi nel cuore di Brera, in via Solferino. L’allievo di Gualtiero Marchesi sta cambiando la faccia della strada. Complice il successo del primo locale, l’aristochef ha infatti saggiamente raddoppiato con Dry, cocktail bar e pizzeria dirimpettaio di Pisacco.
Qui la pizza costa tra i 5 e i 10 euro, nella media di altri ristoranti pizzeria milanesi certamente meno firmati e meno sofisticati (non capita tutti i giorni di potere ordinare una scalogno al sale con provola affumicata e pomodorini arrostiti). Il meccanismo pare talmente rodato da non poter essere soltanto il frutto di un’idea casuale. E così è: dietro le nuove aperture c’è una società di consulenza enogastronomica, di cui fa parte lo stesso Berton, che sta rivoluzionando le tavole di Milano. Dopo Dry e Pisacco è arrivato anche Turbigo, questa volta senza l’apporto di Berton e in zona Navigli, locale aperto quasi ininterrottamente e capace di sfornare una proposta diversa a seconda dell’orario. Anche qui, neanche a dirlo, i prezzi sono molto più che competitivi: per una combinazione di due piatti ce la si può cavare con 25 euro.
LA MICHELIN SI FA POP
Il trionfo della bistronomique – questo il nome (nel Paese dove è nata, la Francia) della tendenza all’apertura di bistrot firmati – non è solo di pubblico dominio tra i foodies milanesi, ma ben testimoniato dalla guida Michelin del 2014. L’ultima edizione della Rossa, presentata il mese scorso, attesta l’incremento delle cucine ‘pop’ italiane con menu a basso costo, contrassegnate non dalle stelle, ma dalle testoline dell’omino Michelin. Si tratta dei ‘Big Gourmand’ della cucina di qualità a prezzo accessibile, che dal 2010 a oggi, in Italia, hanno registrato un incremento del 25 per cento (quelli recensiti per il prossimo anno sono 294, di cui 36 sono novità). In crescita anche i 940 ristoranti segnalati con le due monete, che propongono un pasto completo di alto livello a meno di 25 euro. E c’è da scommettere che molti di questi ultimi faranno parecchia strada. Oldani, per esempio, con D’O si è guadagnato una stella Michelin, ma non per questo ha alzato di un centesimo il menu degustazione da 32 euro. Il suo collega Claudio Sadler, tra i primi a concretizzare uno spazio alternativo, ha affiancato al suo blasonato (e bistellato) ristorante il fratellino economico, Chic’n Quick, da anni punto di riferimento degli amanti dei bistrot firmati.
IL PRÊT-À-PORTER DI CRACCO
L’altrettanto bistellato – nonché star della tv – Carlo Cracco non poteva certo rimanere l’unico chef asserragliato nella sua costosissima cucina ai piedi del Duomo o in quella di Palazzo Parigi: così ha dichiarato che nel 2014 aprirà “un ristorante low cost con ingredienti di qualità in una ex fabbrica sui Navigli”. Il desiderio è quello di “creare la mia linea prêt-à-porter, come gli stilisti”, ha fatto sapere neanche un mese fa.
In attesa del nuovo locale di Cracco che, quasi sicuramente, avrà quell’aria chic mista a post-industriale che caratterizza i bistrot del genere, c’è grande aspettativa per il ristorante di Viviana Varese che, venduto il ristorante una stella Michelin Alice, si appresta a trasferirsi nell’ormai prossimo colosso di Oscar Farinetti, Eataly, che prenderà il posto dell’ex Teatro Smeraldo: c’è chi giura che, anche grazie alle materie prime in arrivo quotidianamente sui banchi del mercato attiguo, il menu sarà eccellente, ma abbordabile.
Per chi non sappia aspettare le nuove aperture, il consiglio è di buttarsi sui locali che, nel genere, hanno già scritto la storia. Facendo un salto al Rebelot, figlio minore dello storico e stellato Pont de Ferr sui Navigli, che utilizza le stesse materie prime del ‘genitore’, rimescolandole in piatti più semplici e veloci da eseguire. O allungandosi fino a Linate, al Michelangelo, dove a prezzi equi si può gustare una cucina giovane e curata con vista sugli aerei in fase di decollo.
E mentre c’è chi contesta la formula affermando che “se vuoi una Ferrari non la puoi pagare come la Cinquecento”, il fondatore per eccellenza della cucina pop Oldani risponde così: “Mi accontento della mia Cinquecento che a guidarla bene non sono poi in tanti a saperlo fare”. A Milano, però, sono sempre di più.