Sono 150 le aziende a rischio del settore moda e abbigliamento e dintorni. Lo rivela una ricerca Pambianco Strategie di Impresa presentata ieri al convegno organizzato con Intesa-Sanpaolo, sulle prospettive di moda e lusso, nell'abito della quale sono state vagliate 723 aziende italiane del settore. Dall'analisi emerge appunto che oltre un quinto delle azienda esaminate, in tutto 150 imprese, le meno patrimonializzate, nel prossimo futuro dovranno prendere decisioni drastiche, finanche la cessione o la chiusura. Questi gli indici dei 150 a rischio: un ebitda medio del 3,7%, quindi molto basso per effettuare investimenti e in calo rispetto agli scorsi due anni, un patrimonio netto passato da 435 a 298 milioni di euro in media dal 2005 al 2007 e un indebitamento salito dal 3,2 al 5,7%, sempre nel triennio considerato. Ma più in generale, a fronte della crisi finanziaria in atto, come reagiscono le aziende principali del sistema moda italiano? Investono sul prodotto, su forme di comunicazione più incisive, e non si rifugiano in un abbassamento dei prezzi o nella delocalizzazione.
Il sintesi, il sentiment degli imprenditori è emerso con chiarezza durante le due tavole rotonde organizzate da Pambianco Strategie di Impresa nel convegno di ieri a Palazzo Mezzanotte, nonché dalla ricerca svolta personalmente da Carlo Pambianco su un panel di 40 aziende campione con valori piuttosto alti: un fatturato medio di 175 milioni di euro, un ebitda medio del 14,9%, marchi forti, indici di indebitamento bassi (0,8%). Imprese come Brunello Cucinelli, Brioni, Incotex, Piquadro, Comete. Damiani, ma altresì produttori di griffe del calibro di Versace, Mariella Burani, Aeffe, Salvatore Ferragamo. Ebbene, l'atteggiamento di massima può essere sintetizzato dalla frase di esordio di Patrizio Bertelli, ceo del gruppo Prada: «Nervi saldi. Anche dopo il 2001 abbiamo assistito a un atteggiamento revisionista», ha proseguito Bertelli, «ma se un'azienda è sana non può indulgere in comportamenti irrazionali».
La situazione sembra essere come dopo la crisi dell'11 settembre 2001. Ma la soluzione potrebbe arrivare leggendo le risposte date a Pambianco dai 40 interpellati: razionalizzare la struttura manageriale, non pensare certo ad acquisizioni perché il momento storico è di enorme incertezza, eliminare gli sprechi ma continuare a investire sul prodotto. E monitorare i mercati visto che, per riprendere le parole di Bertelli, «nel 2001 i paesi emergenti non c'erano». (vedere box a lato). Uno spiraglio di ottimismo arriva anche da Mario Boselli, presidente della Cnmi: «L'Italia con le sue manifatture tessili e della confezione sta riconfermandosi il produttore mondiale leader di tessile e abbigliamento legato all'alto di gamma».
è crisi ma non crollo. Almeno per ora. Nel 2008, il made in Italy ha sì invertito la tendenza, rallentando dopo due anni positivi, ma ha tutto sommato limitato i danni, grazie ai Paesi al di fuori dalla maxi-Ue allargata, con i Paesi emergenti in particolare, a compensare il calo dei consumi interni. I numeri della crisi sono stati forniti da Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, durante il convegno dedicato al lusso organizzato con Pambianco Strategie di Impresa: nei primi otto mesi del 2008 il fatturato è calato del 6,5% nel tessile e del 3,6% nella pelle, mentre l'abbigliamento (+0,3%) è rimasto stabile. I consumi italiani del settore sono scesi del 4,4% a prezzi costanti nei primi sei mesi del 2008 a fronte di esportazioni che hanno tutto sommato tenuto (+1,4% nei primi otto mesi dell'anno sullo stesso periodo del 2007) «grazie ai risultati ancora positivi », ha sottolineato De Felice, «delle vendite verso i Paesi extra Ue 27, in particolare per l'abbigliamento».
Quanto alle previsioni per il 2009 il capo economista dell'istituto di Piazza Scala prevede per il nostro Paese consumi stagnanti: «L'Italia dovrebbe registrare nel 2009 il secondo calo consecutivo dei consumi (-0,3% dopo lo 0,5% stimato per il 2008)». Le prospettive dei mercati emergenti restano positive, in particolare in Cina le vendite al dettaglio continueranno a salire. La Russia accuserà una decellerazione dei consumi sia nel 2009 che nel 2010.
Estratto da MF Fashion del 7/11/08 a cura di Pambianconews
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