Tempi duri per il “made in”, l'etichetta di origine obbligatoria per i prodotti importati nella Ue. Ieri Emma Bonino, ministro per il Commercio internazionale, ha fatto il punto sulla situazione in occasione dell'apertura del Micam, la fiera delle calzature. «Confermo l'impegno mio e del Governo, ha detto, ma per ottenere l'obbligo di. etichetta occorre una maggioranza qualificata di 232 voti: oggi solo dieci Stati sono favorevoli, per un totale di 166 voti». Gli altri 14 Paesi sono contrari, e tra questi Gran Bretagna e Germania. Basterebbe che uno solo dei due cambiasse idea e la cosa sarebbe fatta.
Rossano Soldini, presidente dell'Anci (l'associazione dei calzaturieri italiani), si dichiara convinto che dopo giugno con l'arrivo del Portogallo alla presidenza Ue ci siano buone speranze perchè l'obbligo dell'etichetta “made in” possa essere approvato in autunno.
Sicura che il settore calzaturiero sia ormai arrivato «a una svolta» e abbia superato la crisi grazie alla qualità e all'innovazione, il ministro ha poi spiegato che oggi sul tavolo ci sono tre dossier: uno è appunto quello del “made in” e qui «a volte non basta avere ragione, ha detto, bisogna anche trovare i numeri della ragione. A oggi questi numeri non ci sono».
Il secondo dossier, la promozione, dipende invece solo da noi. Il terzo dossier riguarda i dazi. La Cec, la Confederazione europea della calzatura, ha chiesto al Governo italiano di presentare domanda per il rinnovo dei dazi antidumping, introdotti nell'ottobre scorso per le scarpe importate da Cina e Vietnam, ma solo per due anni invece dei cinque standard.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 16/03/07 a cura di Pambianconews