Per le strade della Cina, fra negozi di abiti e angoli di accessoria colorare i centri commerciali, si incontrano 106 marchi noti del made in Italy, la metà dei quali rientra nella fascia top del mercato. Chi sono, come ci sono arrivati, cosa si aspettano, come operano? Domande come queste se l'è fatte l'Osservatorio Asia, che oggi a Sesto San Giovanni presenta i risultati dell'indagine «La presenza delle imprese italiane del Sistema moda nella distribuzione in Cina», prima mappatura del settore realizzata dopo che Pechino lo ha liberalizzato nel 2004.
Per cominciare, da imparare c'è che su un potenziale mercato di 175 milioni di cinesi che possono permettersi di comprare beni di lusso, il 75% è composto da uomini: businessman, che comprano per se stessi ma anche per fare regali a clienti e amici importanti. Solo un acquisto ogni quattro è una borsetta o un abito da donna. Di questi amanti del lusso, poi, la maggioranza odia fare compere in luoghi affollati: persino un centro commerciale può sembrare troppo poco in a questi cultori orientali del “pago, pretendo”, in cerca.di servizi e assistenza personalizzati.
Per conquistarli, finora, il made in Italy ha puntato su Shanghai, l'ombelico economico e moderno della Cina, e in seconda battuta su Pechino. Poi sono arrivate le altre città del boom: Shenzhen, Hangzhou, Guangzhou. Dal punto di vista organizzativo, per chi è arrivato in Cina da un anno e mezzo a questa parte le cose sono più facili. Precisamente, da quando affine 2004 il Governo di Pechino ha autorizzato la costituzione di società a capitale straniero nel settore della distribuzione e nelle società di import-export. Questo consente alle imprese di scegliere se avvalersi o no di un partner locale.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 6/06/06 a cura di Pambianconews