Sembrava un pellegrinaggio laico al tempio del bello. Duecentomila persone in una settimana si sono messe in fila per andare a vedere, toccare e quasi adorare il nuovo paradigma dell'italianità: sua maestà il design. Tempio: la Fiera del mobile di Milano. Il successo, «oltre l'immaginabile» dicono gli organizzatori, che segna uno spartiacque: prima c'erano gli oggetti e i mobili utili e quelli inutili, ora ci sono quelli di design e quelli non di design.
«Il design è dappertutto» sintetizza Rosario Messina, presidente della Cosmit, società che ha organizzato il Salone del mobile, «come si fa a dire quanto vale? Secondo alcuni il 25 per cento del fatturato del settore, ma secondo altri di più». Il bello, insomma, è un mistero. Meno difficile stabilire chi è leader nell'arredamento di classe. In testa c'è una società che fa parte del fondo d'investimento Opera guidato da Renato Preti (proprietario anche della Bulgari): la B&B con 150 milioni di fatturato seguita da Cassina con circa 130. Nell'illuminazione l'Artemide fattura invece 93 milioni. Ma sono casi isolati: la maggioranza delle imprese sono piccole, al massimo 20 dipendenti, e hanno un giro d'affari spesso inferiore al milione.
Ormai nessuno, dalle case di moda ai ristoranti, può esimersi dall'imperativo di essere «di design». A capirlo subito fu la Versace che con le sue porcellane, i suoi tessuti, i suoi mobili fattura, secondo autorevoli stime, 30 milioni. Armani casa, con 20 negozi e 100 punti vendita, vale ormai il 5 per cento del fatturato del gruppo, pari a 1,27 miliardi. Numeri che hanno convinto lo stilista ad aprire altri 20 negozi monomarca. Poi è stata la volta di Gucci, Ralph Lauren, Bulgari e tutti gli altri. Non contenti, gli stilisti si sono inventati i «design hotel» (Versace, Bulgari).
Estratto da Panorama del 22/04/05 a cura di Pambianconews