Guido Grassi Damiani, amministratore delegato del gruppo di gioielli, è ottimista. Il 2004 si è chiuso con ricavi per 180 milioni di euro (+2%) e un utile netto di 10, raddoppiato rispetto al 2003. Nel futuro c'è il potenziamento dei punti vendita all'estero (l'80% del giro d'affari viene dal mercato italiano) e la riorganizzazione della distribuzione. |
Il gruppo inizia a essere internazionale e il consumatore di fascia alta di qualunque nazione ha familiarità con i nostri marchi: ne riconosce il nome e lo associa ai prodotti. Abbiamo oltre 30 boutique monomarca nel mondo e, per presidiare il mercato giapponese e quello americano, abbiamo creato la Damiani Japan e la Damiani Usa, ma dobbiamo crescere ancora, raggiungere quei consumatori che, come dicevo, conoscono i nostri marchi ma non riescono a trovare i nostri gioielli con sufficiente facilità. Per quanto riguarda l'Italia, nella gioielleria, siamo leader assoluti e, poiché il nostro Paese rappresenta solo il 5% del mercato mondiale, le prospettive di crescita sono enormi. Ci concentreremo sui prodotti ma lavoreremo molto anche sulla distribuzione, rafforzando i rapporti con i partner che vogliono crescere con noi.
Considerato il potenziale del marchio, pensate di diversificare la produzione?
Nel breve periodo preferiamo rimanere fedeli al core business. Oltre al marchio Damiani, nel gruppo ci sono Salvini, Bliss, Alfieri & StJohn e deteniamo il 15% della Pomellato. Si tratta di marchi che operano quasi unicamente nella gioielleria, a parte qualche piccolo sconfinamento che non può essere definito diversificazione. La scelta è strategica: siamo un'azienda prettamente wholesale, che raggiunge i consumatori attraverso una rete di gioiellerie multimarca. Il corretto e differente posizionamento dei nostri marchi permette ai negozi di offrire a ogni consumatore i prodotti più adatti, più aderenti allo stile di vita o alla specifica necessità del momento.
Estratto da Il Sole 24 Ore del 31/03/05 a cura di Pambianconews