«Alla mamma e ai suoi assistenti per fare un paletot occorrevano 81 ore. Grazie alla scomposizione del lavoro quel numero crollò». Con questa semplice nota autobiografica Achille Maramotti raccontava l'inizio della sua vita di imprenditore e la rivoluzione industriale che ha creato il «made in Italy». Lui, che di questa rivoluzione è stato uno dei principali interpreti, è morto mercoledì nella casa di Albinea, sulle colline di Reggio Emilia. «E' una perdita enorme per tutta l'impresa italiana», ha commentato Luca Cordero di Montezemolo, presidente di Confindustria. «Un esempio di come la nostra industria può essere leader nel mondo», ha detto Marco Tronchetti Provera, numero uno di Telecom-Pirelli. E ne ha lodato la «meravigliosa capacità imprenditoriale» Pier Ferdinando Casini, presidente della Camera: «Un vanto per l'Italia». Pochi gioni fa, il 7 gennaio, aveva compiuto 78 anni. Fondatore della Max Mara, cavaliere del lavoro dall'83 (nominato da Sandro Pertini), proprietario del Credem, azionista e consigliere di Mediobanca e Unicredito, era uno degli uomini più ricchi e potenti del nostro Paese (secondo Forbes per ricchezza era il quarto in Italia e il 157esimo nel mondo), ma tutta la sua vita è stata contrassegnata dalla più assoluta riservatezza. Le cronache hanno parlato spesso di lui, sottolineando le doti imprenditoriali e di banchiere, i rapporti duri con il sindacato e la passione per l'arte (in particolare per Morandi e de Chirico). Lui ha parlato invece una volta sola, rilasciando un'unica «vera» intervista. Dopo aver venduto burro e formaggi per pagarsi gli studi, conquistato la laurea in giurisprudenza e sposato Ida Lombardini (figlia dell'imprenditore reggiano dei motori) «impara l'arte» dalla madre sarta, Giulia. E dal laboratorio della madre si separa nel '51 all'insegna di un'idea: il prêt-à-porter. Inizia con due locali e due operaie «in prestito». Copia i modelli dalle riviste americane e inizia a produrre due tipi di paletot e tailleur. Il primo anno «cuce» 500 capi, il secondo 5 mila. Oggi il suo gruppo è l'87esimo in Italia con ricavi superiori a 1 miliardo di euro e 4 mila dipendenti. Da tempo aveva passato le consegne ai figli, Maria Ludovica, Luigi e Ignazio. Sergio Bocconi Estratto dal Corriere della Sera del 14/01/05 a cura di Pambianconews