IL SISTEMA DELLA MODA ITALIANO NEL 2004-2005
(Nota a cura dell'Area Centro Studi di Sistema Moda Italia per Pitti Immagine)
Un consuntivo
Nel 2004, il sistema tessile-abbigliamento-moda (TA) made in Italy ha visto interrompersi la spirale recessiva del biennio precedente. I dati preliminari permettono infatti di stimare, a consuntivo del 2004, un fatturato settoriale in stabilizzazione (+0,2%) a poco più di 43,2 miliardi. Si tratta di un risultato in linea con le previsioni formulate a metà anno che però consente di recuperare solo una piccola parte degli oltre 4,6 miliardi di valore persi fra il
2001 ed il 2003.
A determinare tale risultato contribuiscono soprattutto le fonti estere. Sui mercati UE (a quindici paesi), le vendite delle aziende italiane si assesteranno poco sopra i 12,2 miliardi (-0,4%), un livello inferiore di oltre 2,1 miliardi rispetto a quello che i quindici garantivano al sistema moda italiano tre anni prima. Nel 2004 il mercato dell'abbigliamento UE nei 15 paesi (circa 293 miliardi) si è sviluppato ad un ritmo dello 0,8% (al di sotto della dinamica dei consumi complessivi delle fami glie) con risultati inferiori alle attese in Germania (-3%) e con il solo mercato spagnolo a mostrare una discreta dinamicità.
Fuori dalla UE, i chiari segnali di ripresa della domanda asiatica e statunitense sono stati raccolti dalle aziende italiane che – nel contesto di netto rafforzamento dell'euro – hanno tuttavia dovuto accettare pesanti sacri fici sui margini lordi per mantenere le proprie quote di mercato.
Le vendite di prodotti tessili e di abbigliamento nei mercati extra-europei archivieranno il 2004 con incrementi non molto superiori al 3%. Sul fronte dei flussi in entrata, invece, si sconta un aumento superiore al 5%, sintesi di cedimenti (-4,6%) nelle componenti tessili e di aumenti superiori al 7% per i prodotti di abbigliamento, maglieria e calzetteria.
Nel contesto di scarsissima dinamicità del mercato domestico (la domanda interna di prodotti TA archivierà l'anno con un incremento – a valori correnti – non superiore al 1,4%), l'aumento delle importazioni si traduce in un ulteriore innalzamento (al 47,6%) della quota di mercato domestico soddisfatta da prodotti TA importati.
Le previsioni
In termini di previsioni, sul fronte delle variabili esogene, nel 2005 il settore risentirà dell'atteso rallentamento della crescita mondiale e dell'area dell'euro in particolare. Su questo fronte, in particolare, la scarsa dinamicità del reddito disponibile, il permanere del tasso di disoccupazione su livelli prossimi al 9% ed i numerosi altri elementi di incertezza con i quali dovranno confrontarsi le famiglie europee, impediranno ai consumi di abbigliamento di svilupparsi a ritmi superiori allo 0,3%. Sui mercati extra-europei, invece, sarà sicuramente l'euro forte a creare i maggiori problemi alle aziende italiane.
L'incognita maggiore relativa al 2005 è tuttavia interna al settore TA e riguarda l'impatto della fine dell'Accordo MultiFibre e la conseguente liberalizzazione totale delle importazioni di prodotti tessili e di abbigliamento da paesi extra-europei.
Fra le 30 categorie di prodotti liberalizzati dal primo gennaio di quest'anno sono infatti inclusi molti articoli sensibili per il sistema moda italiano. In ambito tessile, la liberalizzazione degli scambi coinvolge infatti molti prodotti cotonieri e sintetico/artificiali, mentre nel campo del vestiario il processo riguarda tutti i principali prodotti in tessuto (dai pantaloni alle camicie, dalle giacche agli abiti, all'underwear), in maglia (pullover ed altra maglieria esterna, t-shirt, abiti, ecc) e di calzetteria (collant). Il valore complessivo delle importazioni italiane (da paesi extra-UE) di questi prodotti risultava nel 2003 di poco inferiore ai 5 miliardi, ovvero poco meno di 1/3 delle importazioni complessive di prodotti
TA.
In questo nuovo scenario, ovviamente, l'impatto più violento potrebbe riguardare le importazioni dalla Cina. Per le 30 categorie liberalizzate, infatti, la quota di mercato del colosso asiatico (rispetto al totale delle importazioni italiane da paesi extra-europei) non superava, nel 2003, il 10%. Negli altri comparti già liberalizzati, invece, il peso relativo della Cina nel framework delle importazioni italiane da paesi extra-europei risulta quasi triplo (27,3%). In molti casi, inoltre, i prezzi praticati dagli esportatori cinesi sul mercato UE risultano nettamente inferiori rispetto a quelli medi delle forniture extra-europee.
Almeno in potenza, quindi, da quest'anno si potrebbe assistere a una radicale modifica nella struttura delle importazioni italiane con un sensibile incremento della quota di mercato della Cina che penalizzerà sicuramente gli altri fornitori extra-europei, ma che potrà sottrarre spazio anche a molte produzioni italiane, specie nelle fasce di mercato (sempre più ampie) in cui la competizione avviene prevalentemente dal lato dei prezzi.
Occorre peraltro sottolineare che non per tutte le categorie liberalizzate sembrano esserci spazi per forti incrementi delle importazioni UE: negli anni scorsi, infatti, per numerosi prodotti, nè la Cina, nè gli altri paesi fornitori, hanno utilizzato completamente le quote di importazione riconosciute su base UE. Limitando l'analisi al sotto-insieme dei prodotti più sensibili, risulta che la liberalizzazione sta coinvolgendo beni che complessivamente rappresentano il 37% delle importazioni UE di prodotti tessili e di abbigliamento. Sempre in questo ambito, un recente studio dell'Institut Français de la Mode ha sottolineat o che la liberalizzazione si potrà tradurre, nel biennio 2005-2006, in un aumento dei quantitativi importati nella UE dell'ordine dell'11% e di una contemporanea riduzione del 4% dei valori.
Questa dinamica si rifletterà in un cedimento dell'ordine dell'11% in due anni per quanto riguarda i prezzi all'importazione.
Negli ultimi anni, le aziende italiane, strette fra la fase recessiva più acuta della storia recente del settore e la radicalmente le proprie strategie puntando al rafforzamento di ogni fattore competitivo di tipo non-price che possa continuare a differenziare l'offerta italiana da quella dei competitor.
In questo contesto, l'introduzione dell'indicazione obbligatoria di origine (il cosidetto “made in”) per le merci importate da paesi extra-europei è parte integrante di questa strategia di differenziazione perché fornisce al consumatore un'indicazione immediata della potenziale diversità che caratterizza un prodotto importato da uno prodotto in Europa (e, in prospettiva, realizzato in Italia quando sarà possibile introdurre l'etichetta d'origine/paese obbligatoria anche per le merci prodotte nei 25 paesi dell'Unione), fornendo uno strumento in grado di aiutarlo a valutare il rapporto qualità/prezzo dei beni che acquista.
LA MODA MASCHILE ITALIANA NEL 2004-2005
Dopo la flessione superiore al 6% registrata nel 2002-2003, a consuntivo del 2004 la produzione di articoli di vestiario esterno maschile dovrebbe mostrare segnali di ripresa.
Grazie al recupero della domanda (in termini di spesa complessiva, hanno infatti segno positivo sia le vendite estere che i consumi), e, soprattutto in virtù di una crescita non esplosiva delle importazioni (almeno nei dati in valore), si prevede che l'attività settoriale chiuderà l'anno in leggera salita a 7,36 miliardi (+0,6%).
Nei dati sulle esportazioni di moda maschile disponibili per il 2004 è infatti già evidente una certa attenuazione delle spinte ribassiste. Nel periodo gennaio-agosto, la maglieria evidenzia ancora cedimenti tendenziali (-2,3%) mentre il vestiario torna a crescere (+1,6%), così come il settore delle cravatte (+0,5%). Solo le nicchie dell'abbigliamento in pelle e della camiceria mostrano ancora forti segnali di sofferenza.
A livello di paese, nei primi dieci mercati di sbocco per la produzione italiana, al netto dei flussi diretti in Svizzera (+30,2%, ma originati in massima parte da
operazioni infra-industriali), solo Spagna e Grecia (sesto e nono paese cliente) hanno aumentato significativamente i propri acquisti di moda maschile made in Italy (+7,8% e +6,8% rispettivamente). La Francia ha confermato i livelli di importazione dello scorso anno, mentre ancora in forte contrazione sono risultate sia la Germania (-14,6% il calo delle vendite nel primo mercato di sbocco per la moda maschile made in Italy) che il Regno Unito (-5,2%).
Dell'ordine del 6% circa anche il calo delle esportazioni dirette negli Stati Uniti; queste ultime, tuttavia, se misurate in dollari evidenzierebbero, nei primi otto mesi del 2004 un incremento del 5% circa a segnalare una ripresa della domanda che è stata intercettata dalle aziende solo al prezzo di notevoli sacrifici sui margini in euro.
Ancora negative le notizie che continuano a pervenire dal Giappone dove i segnali di ripresa evidenti sul fronte macroeconomico non si sono tradotti, almeno per il momento, in incrementi di acquisti di Menswear made in Italy (-10% il calo delle esportazioni nella prima parte del 2004). Nei mercati extra-UE, le uniche note positive provengono, ancora una volta, dalla Russia che ha ulteriormente incrementato gli acquisti dall'Italia (+30,8%) confermandosi un importante mercato di destinazione per la moda maschile italiana.
Occorre tuttavia segnalare come i dati complessivamente negativi con cui sono stati archiviati i primi otto mesi del 2004 scontano i risultati molto penalizzanti dei primi due mesi e oscurano i significativi recuperi tendenziali che hanno invece caratterizzato i mesi successivi e che, se confermati nei dati dei mesi finali dell'anno, potranno consentire alle medie annuali di evidenziare un recupero rispetto al 2003 (+1,8%).
Sul fronte dei flussi in entrata, nei primi otto mesi del 2004, le importazioni di
abbigliamento esterno maschile in tessuto, a maglia e in pelle (2,3 miliardi di euro) hanno continuato a crescere.
I flussi in arrivo dalla Cina sono aumentati (+19,8% in valore), ad un ritmo di oltre tre volte superiore alla media, arrivando a rappresentare circa il 17% delle importazioni totali (ma la quota cinese si colloca al 31,4% del totale se si analizzano i quantitativi), continuando a sottrarre quote di mercato agli altri fornitori del mercato italiano. Le importazioni provenienti dalla Romania (tradizionale primo fornitore del mercato domestico), ad esempio, hanno perso terreno per circa il 10% sia nei quantitativi che nel valore.
L'aggressività della competizione dei paesi extra-europei sul mercato italiano si è tradotta, già nel 2003, in un nuovo sensibile incremento del rapporto di import penetration: in soli cinque anni (dal 1999 al 2003) la quota del mercato domestico soddisfatta da prodotti importati (prevalentemente di fascia media e medio-bassa) è infatti passata dal 43,7% al 56,9%. Contemporaneamente, tuttavia, le aziende italiane hanno avuto successo nel riposizionare verso l'alto il proprio mix di produzione, innalzando al contempo il contenuto di servizio dell'offerta made in Italy. Il gradimento dei retailer e delle consumatrici estere
per questo tipo di strategie è testimoniato dall'incremento dal 57,3% al 65,8% della quota di produzione esportata negli ultimi cinque anni.
Nel 2004, questo percorso di polarizzazione si è ulteriormente consolidato con nuovi incrementi sia nella quota di produzione nazionale collocata sui mercati esteri, sia con un nuovo aumento del rapporto di import-penetration.
Il mancato boom delle importazioni (per i produttori emergenti diventa infatti più complicato guadagnare posizioni nei segmenti più fini del mercato) e la timida ripresa delle vendite estere dovrebbero aver favorito, lo scorso anno, una stabilizzazione dell'attivo commerciale settoriale.