Il suo sogno? «Una grande azienda vinicola: 500mila e persino 1 milione di bottiglie l'anno, rigorosamente made in Italy». Beh, non è facile produrre un milione di Barolo o di Sassicaia. «E chi li vuole, sbotta lui. Per carità, grandi vini. Ma, da industriale, io sogno un prodotto di qualità capace di inondare i mercati. Non il bell'oggetto artigianale, solo per pochi. E chi l'ha detto che i grandi numeri non possono coesistere con la qualità?». Il «lui» in questione è Renato Preti, promotore assieme a Bulgari di Opera, prima società d'investimento specializzata nei settori del bello all'italiana. Possibile che dopo tanta ricerca ci si fermi davanti a una bottiglia di lambrusco? «E perchè no?, replica lui. I francesi hanno una visione più elaborata del bon vivre. Ma non solo Lvmh riesce a produrre centinaia di migliaia di bottiglie di champagne senza comprometterne la qualità. Anzi, proprio Lvmh ha dimostrato che i grandi numeri permettono di investire nel prodotto, nel marketing e nella distribuzione migliorando il servizio al cliente».
La morale economica è una sola: anche nel made in Italy piccolo non più bello, ma è al contrario sinonimo di fragilità e di debolezza, anticamera di una crisi che rischia di non avere sbocchi. «Qualcuno l'ha capito, sospira Preti, ma molti s'illudono che la crisi sia passeggera e non strutturale. Per loro il risveglio rischia di essere amarissimo». L'esperienza del fondo Opera 1, 225 milioni investiti (Opera 2 chiuderà le prime sottoscrizioni l'estate prossimo) sta tutta qui: acquisire partecipazioni consistenti (meglio se di controllo) per aiutare le aziende del made in Italy a crescere in dimensioni e marketing; investire, anche attraverso alleanze internazionali, oltre frontiera per raggiungere, con il giusto messaggio, la clientela disposta a spendere. «In giro per il mondo vedo un'eccezionale voglia di investire, commenta Preti. Basti pensare ai 70 grattacieli in cantiere ad Abu Dhabi, in una zona estremamente calda dal punto di vista geopolitico».
L'Europa, al contrario, resta fredda. L'Italia, addirittura gelida. E le aziende continuano a soffrire di «nanismo» congenito, incapaci di affrontare una politica di marketing e distribuzione adeguata a servire una clientela mondiale. E, ancor prima, inadeguati per gestire un processo produttivo in outsourcing, necessario per reggere alla sfida mondiale. «Anche perchè sotto certi numeri, sintetizza Preti, non sei interessante agli occhi di un cinese. Anzi. Vuol sapere la verità? Io mi aspetto che, tra un paio d'anni o forse meno, le aziende di casa nostra saranno comprate dai clienti cinesi, a meno che non sappiano sviluppare una politica del marchio e della distribuzione adeguata. Se questo non avverrà, saranno i compratori ad avere il coltello dalla parte del manico». Il quadro, insomma, non è dei più rosei: la redditività delle piccole imprese dello stile di vita italiano (dall'alimentare alla cosmetica, dalla moda all'arredamento), già bassa, tende ora a scendere; il circolante è un problema anche per nomi insospettabili. L'ora della verità sembra vicina, ma c'è chi si affida ancora allo «stellone», alla speranza che prima o poi torneranno i bei tempi.
Estratto da Finanza&Mercati del 14/05/04 a cura di Pambianconews