Armani venderà la società «entro i prossimi quattro o cinque anni». È stato lo stesso stilista piacentino, fondatore e tuttora unico azionista di un impero che vale ormai 4 miliardi di euro di vendite a livello retail, ad annunciarlo. «Certo la Borsa potrebbe essere una possibilità, ha risposto Armani a una domanda dell'agenzia Apcom in merito al futuro del gruppo, ma potrei anche decidere la vendita dell'azienda». Armani ha scelto di parlare in occasione dell'inaugurazione di un negozio a Pechino, evento con cui lo stilista intende rilanciare con forza la presenza del marchio in Cina (obiettivo: aprire 30 boutique entro il 2008). Insomma, la Cina sarà la frontiera di Armani di domani.
Ma il gruppo, intanto, dovrà confrontarsi con il problema della successione: Re Giorgio, arrivato a settant'anni, già lo scorso dicembre aveva per la prima volta parlato «di aprire il capitale del gruppo a nuovi soci». E aveva ammiccato, non è chiaro quanto per scherzo, a «monsieur François Pinault e monsieur Bernard Arnault», rispettivamente a capo di Ppr e Lvmh. Anche se, appena tre giorni fa, in occasione della presentazione dei risultati 2003, qualcuno aveva letto nelle parole di Armani la volontà di chiudere ogni trattativa per il ridisegno societario. E di smentire le ipotesi di accordo con i francesi di L'Oreal o con la Emaar di Dubai (con cui il gruppo ha avviato la realizzazione di 14 alberghi di lusso).
«Non sarà per oggi, né per domani, ma forse per dopodomani», aveva glissato lo stilista. Eppure, la società viene dal primo anno di vendite in calo della sua storia. Ed è alla ricerca di nuove strade per mantenere un trend che, dal 1975, ne ha fatto il marchio del made in Italy più conosciuto. Resta una macchina da utili (+14% a 134 milioni), capace di una posizione finanziaria netta positiva e in miglioramento (+149% a 264 milioni). «Ancora, ha precisato ieri Re Giorgio, non c'è niente di deciso». Tranne, era inevitabile, i tempi.
Estratto da Finanza&Mercati del 16/04/04 a cura di Pambianconews
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