Dopo un primo semestre assolutamente critico, soprattutto per alcune componenti a monte della filiera tessile-abbigliamento italiana (nei primi sei mesi del 2002 si sono infatti registrate flessioni produttive superiori al 10% sia nell'industria laniera sia nel comparto serico, mentre quello cotoniero ha mostrato una maggiore capacità di tenuta), dal terzo trimestre del 2002 si è assistito a un rilevante appesantimento della congiuntura anche nei comparti a valle del sistema moda italiano. In seguito a questi andamenti, il 2002 viene archiviato con un fatturato complessivo in discesa (-3.9%) a meno di 46 miliardi di euro. In termini di tassi di crescita, si tratta del peggior risultato messo a segno dall'industria dal 1993, anno in cui la flessione delle vendite misurata in valuta europea risentì (-13.9%) sia della recessione in corso nella UE sia della svalutazione della lira verso l'ECU.
Le informazioni congiunturali più recenti disegnano un quadro ancora debole in cui i segnali positivi e negativi si mescolano. Dal lato della domanda, le flessioni tendenziali delle esportazioni si fanno via via più contenute (-1.4%), mentre allo stesso tempo le importazioni hanno perso dinamicità (-1.7%); entrambi i fattori inducono a immaginare che nel corso di quest'anno il contributo del commercio estero allo sviluppo dell'attività settoriale del tessile-abbigliamento italiano sarà meno penalizzante rispetto a quanto avvenuto nel 2002. Anche dal fronte interno, le informazioni provenienti dai mercati finali lasciano intravedere la possibilità che �il peggio sia passato�. Nelle valutazioni di AcNielsen, l'ultima stagione autunno-inverno si è chiusa con consumi finali in recupero (sia rispetto alla primavera-estate, sia rispetto all'autunno-inverno corrispondente) sia nel segmento femminile sia in quello maschile.
Si tratta di un viatico non del tutto penalizzante in vista delle prossime stagioni.
Questi segnali non trovano tuttavia ancora chiari riscontri nei dati relativi a vendite e attività produttiva che, nella maggior parte dei comparti del sistema moda, mostravano ancora, nei primi mesi del 2003, tassi di crescita negativi. Qualche segnale incoraggiante proviene anche dai primi dati parziali sul sell-out della stagione estiva; effetti di calendario e meteorologici inducono tuttavia ad attendere i bilanci di fine campagna prima di verificare se l'inizio di un percorso di recupero della domanda interna si sia consolidato nei mesi più recenti. Molte incognite riguardano inoltre lo scenario internazionale: sulle modalità della ripresa prossima ventura il consensus prevalente fra gli economisti fa riferimento a un sentiero di recupero molto graduale, appesantito dagli squilibri macroeconomici dell'economia americana e, più in generale, da una dinamicità attuale e prospettica del commercio internazionale sensibilmente inferiore a quella che ha caratterizzato, in media, la seconda metà degli anni '90. Anche il sensibile rafforzamento dell'euro rispetto al dollaro e allo yen pone un serio vincolo al contributo positivo che è lecito attendersi dagli scambi con l'estero. A questo quadro non esaltante si sono poi aggiunte, di recente, le incognite legate ai possibili effetti �economici� dell'epidemia di SARS che ha colpito la Cina.
In questo contesto, lo scenario di base per il sistema moda italiano nel 2003 prevede un periodo di �convalescenza� dopo la fase recessiva iniziata nella seconda metà del 2001. E, come tutti i periodi di convalescenza, questo status comporta sia rischi di ricadute ma anche recuperi più rapidi del previsto. Questa situazione di convalescenza potrebbe tradursi, in termini di risultati medi annui, in un assestamento del valore della produzione settoriale intorno ai livelli del 2002. I rischi di ricadute fanno riferimento soprattutto a news non prevedibili sul fronte macroeconomico.
Le possibilità di una ripresa più rapida del previsto (scenario a cui non associamo più del 25% di probabilità di realizzarsi), infine, sono legate alla situazione delle scorte di prodotti tessili e di abbigliamento lungo la filiera che hanno raggiunto livelli minimi. In questo contesto, i primi segnali di ripresa della domanda potrebbero comportare una revisione in senso meno prudenziale delle politiche di approvvigionamento dei buyer con effetti moltiplicativi non trascurabili.
La scarsa dinamicità dei consumi interni e il notevole rallentamento delle esportazioni, hanno portato i comparti della moda maschile presenti a Pitti Immagine Uomo (abbigliamento esterno in tessuto, maglia e pelle, camiceria e cravatteria) a chiudere il 2002 con un fatturato annuo (oltre 7.6 miliardi di euro, il 27% circa delle vendite complessive di prodotti di abbigliamento, maglieria e calzetteria made in Italy) in flessione del 3.1% rispetto al 2001. Anche l'attivo commerciale è sceso, dopo molti anni, sotto la soglia degli 1.8 miliardi di euro.
Il commercio estero Dopo un biennio molto favorevole il commercio estero ha registrato infatti un forte cedimento: le vendite estere di abbigliamento maschile made in Italy hanno accusato, nel 2002, una flessione vicina al 5%, collocando il fatturato estero del comparto a quota 5.1 miliardi di euro. La capacità di competere all'estero delle aziende italiane non sembra comunque in discussione: anche in un anno molto travagliato come il 2002, i ⅔ del fatturato complessivo del settore sono stati infatti realizzati fuori dai confini nazionali.
Fra i diversi comparti della moda maschile italiana, le flessioni produttive più consistenti hanno interessato, lo scorso anno, le confezioni in pelle (reduci da un biennio di crescita esplosiva) e le cravatte (-8.8%), ma anche nella maglieria esterna il cedimento produttivo è risultato rilevante (-4.1%). Il grande comparto del vestiario esterno in tessuto (che da solo rappresenta quasi il 50% delle vendite complessive di moda maschile) ha perso il 2%, mentre grazie a esportazioni in forte crescita (+9.2%) e consumi interni ancora dinamici (+4.2%) il settore della camiceria è quasi riuscito a confermare i livelli di attività del 2001.
Recupero tendenziale del Giappone, che pur registrando un calo del 9%, guadagna una posizione rispetto alle informazioni di qualche mese fa, collocandosi al sesto posto tra i principali clienti, e chiudendo l'anno con importazioni dall'Italia di 250 milioni di euro (il 5% del fatturato estero italiano complessivo).
I flussi in entrata hanno evidenziato una notevole decelerazione rispetto al 2001 (appena l'1%, contro il 14% medio dei due anni precedenti); i 3.3 miliardi di euro di prodotti di esterno maschile importati hanno comunque soddisfatto il 56.4% del mercato interno, ovvero dei consumi finali valorizzati a prezzi di sell-in.
In questo contesto di ridimensionamento, continua a essere importante il flusso commerciale proveniente dalla Romania (sempre più integrata nell'organizzazione produttiva delle aziende italiane) che esporta sul mercato italiano merci per circa 700 milioni di euro (+13%) e una quota di oltre il 21% sul totale importato.
Ancora in crescita figura la Cina, confermatasi al secondo posto tra i principali fornitori (+8% l'incremento dei flussi dal gigante asiatico per un valore di 426 milioni di euro) con una quota sul totale importato del 13%.
Tunisia e Bangladesh (terzo e quarto paese fornitore) hanno invece mostrato cedimenti e chiudono l'anno con flessioni tendenziali del 3.4% e del 10.1% rispettivamente, mentre emergono nuovi competitor: Turchia (+10%), Bulgaria (+33.2%), Albania (+17.6%) e, soprattutto grazie all'esplosivo andamento dell'abbigliamento in pelle, la Spagna (+65%).
Dopo la flessione del 2001, sul fronte dei consumi interni si è assistito a qualche lieve segnale di ripresa: la spesa complessiva ha superato i 9.3 miliardi di euro e la crescita tendenziale ha sfiorato l'1%.