Panorama ha incontrato per una lunga intervista un Santo Versace decisamente inedito, versione manager superduro. Deciso a ristrutturare l'azienda e a tagliare i costi di produzione. Con un obiettivo: raddoppiare il fatturato della maison. E quanto alle possibili future alleanze, Versace non esclude nulla. Mentre rivela una storia rimasta finora segreta: quella della fusione, poi saltata, con la Gucci di Domenico De Sole.
Voi come ve la passate?
Visto il quadro economico generale… Nei primi sei mesi dell'anno le vendite sono sopra, anche se di poco, a quelle del 2001. Per il 2002, in termini di ricavi consolidati, ci aspettiamo di confermare il risultato dell'anno precedente.
Nel 2001 il vostro fatturato è stato pari a 521 milioni di euro, con una crescita del 14 per cento. Ma l'aumento dei costi di produzione, che hanno raggiunto i 503 milioni, sfìora il 18 per cento. Non è un bel dato.
Certamente. Ma vanno considerati diversi fattori. Nei tre mesi successivi all’11 settembre abbiamo perso 30 milioni di ricavi. Se fossimo arrivati a 550, adesso parleremmo di un risultato fantastico. Invece è accaduto quello che era imprevedibile. Secondo: stiamo portando avanti una politica di progressiva riduzione delle licenze esterne. Abbiamo tagliato linee che in passato davano complessivamente 100 milioni di ricavi a 30 di utili. Terzo: puntiamo sul retail diretto: oggi abbiamo una rete di 120 negozi gestiti direttamente. Questo rende il nostro business molto più controllabile. Ma, ovviamente, ha forti costi. Mentre è impensabile rendere immediatamente redditizi i negozi.
Da tempo si dice che siete alla ricerca di alleanze, si è parlato di Gucci e si è fatto il nome del Texas Pacific Group…
Qualcuno mette in giro notizie false e tendenziose.
Ma è vero the cercate soci?
Per mettere le cose in chiaro: noi abbiamo un contratto, fin dal 1999, con il Credit Suisse First Boston. è il nostro advisor finanziario. L'obiettivo è valutare se si presentano opportunità interessanti. Per massimizzare il valore degli azionisti, e per garantire il futuro e lo sviluppo dell'azienda.
Ma con Gucci?
Con Gucci era già fatta.
Scusi?
Era la primavera del 1997: raggiungemmo un accordo per la fusione delle due società, siglato con una stretta di mano fra mio fratello Gianni e Domenico De Sole, amministratore delegato della Gucci. Niente firme, ma fra due calabresi una stretta di mano vale più di un contratto depositato dal notaio. Noi avremmo avviato il processo di quotazione, poi si sarebbe stabilito il rapporto di concambio delle azioni. A quei tempi alla Versace veniva attribuito un valore di 3.200-3.500 miliardi. Saremmo divenuti gli azionisti di riferimento del polo della moda.
E poi?
Poi ci fu il 15 luglio. Mio fratello fu ucciso a Miami. E tutto si fermò.
Forse sarebbe convenuto fare il contrario, accelerare il progetto…
Oh certo, lo penso anch'io. Ma col senno di poi. Vede, dopo quel 15 luglio ho impiegato due anni per recuperare l'equilibrio, la capacità di valutare. Se avessi avuto lucidità non avrei fermato quel disegno. Ma è andata cosi.