Lusso in affanno. E ancora troppo caro. Queste in estrema sintesi le conclusioni cui è pervenuta ieri Claire Kent, intervenuta a un incontro svoltosi presso la sede milanese di Morgan Stanley sugli scenari della luxury goods industry. Rispetto infatti ai multipli registrati nel '98 durante la crisi asiatica, quasi tutti i titoli del settore presentano p/e (il rapporto tra prezzo e utile per azione) decisamente più elevati.
Gucci quota 19,3 volte gli utili contro un p/e di 10,7 di quattro anni fa, Hermès ha un p/e di 23,8 (contro 19,6) e Lvmh di 22,6 (contro 16,2). «Il settore non può certo essere definito un affare», ha detto senza mezzi termini l'analista inglese che ha anche sottolineato come invece nel periodo '99-00 l'intero comparto sia stato «enormemente sopravvalutato». è ancora dunque troppo presto per comprare? Dipende. «Si può comprare ma non bisogna guardare al prezzo per almeno 18 mesi», ha aggiunto la Kent, «mentre siamo molto cauti se si hanno i tre mesi come orizzonti temporali. Non ci sono ragioni per sovrappesare i titoli del lusso nel breve». Da un lato esistono aspetti positivi come i raffronti più facili rispetto a quelli del terzo e quarto trimestre del 2001, un rafforzamento dello yen sul dollaro che dovrebbe innalzare i flussi turistici e più in generale il fatto che il lusso è un settore in crescita in un arco temporale di cinque anni.
Altro tema caldo, quello dell'm&a. Dopo la mergermania che ha investito il settore dal '98 in poi, con fusioni e acquisizioni all'ordine del giorno, la crisi post 11 settembre ha accelerato un processo destinato comunque a ridimensionarsi. «Non ci aspettiamo una grande attività in fatto di m&a», ha ammesso la Kent, «per due motivi. La validità di una strategia multibrand è ancora tutta da verificare e diversi colossi del lusso dipendono soltanto da un brand. E poi perché non c'è tanto da comprare. Tra le migliori società provate ci sono Giorgio Armani, Ferragamo e Chanel».