«Certo, non è un bel periodo per la moda e il lusso, e i dati sono preoccupanti, al di là di un certo ottimismo di facciata. Ma non ci si può nascondere dietro la cattiva salute delle Borse, il terrorismo, un senso diffuso di instabilità. Perché di errori – errori concreti, visibilissimi – se ne sono fatti tanti». Non si nasconde dietro i giri di parole, Giorgio Armani, e non usa toni diplomatici, convinto com'è che soltanto l'assoluta franchezza aiuti a riflettere. «Sono stati errori di sistema, ripetuti in occasioni diverse e in aziende diverse, che hanno rivelato un'identica propensione al gigantismo gonfiandosi in modo abnorme, con una fioritura esagerata di negozi, show-room, produzioni organizzate alla meglio, che riescono a rosicchiare un po’ di mercato agli specialisti senza però conquistarlo. Ma queste sono spese che si riversano sul prodotto, il cui costo dovrebbe essere mantenuto entro certi limiti, altrimenti la gente commenta: bravo, bellissimo, però non potrò mai comprarlo, e finisce lì».
Qualcuno sostiene che questi gruppi multibrand siano stati l'unica, vera novità del settore. «Può darsi, ma hanno creato un mercato fasullo, sostenuto da mezzi giganteschi e da un'enfasi economica che non rispondeva ai bilanci delle singole aziende. Così l'intero settore è diventato troppo caro anche per chi ne fa parte». E questo taglia fuori tutti gli esordienti, gli stilisti nuovi dei quali si sente tanto la mancanza. «Se non hanno l'appoggio di un grande gruppo, non riescono ad avvicinarsi al mercato. Mi dispiace perché vedo che non è più possibile arrivare alla moda come facevamo noi, negli anni Settanta e Ottanta, impegnandoci in una dura gavetta e sostenendo quei sacrifici indispensabili per capire il mestiere. Che non è facile, non è una specie di festa mobile tra interviste e mondanità ma esige applicazione e conti seri. Perché basta un pò di crisi, l'economia in affanno, le Borse asiatiche stanche e si ferma tutto».
La tendenza in questi anni è stata quella di far rientrare tutte le licenze. Adesso le aziende sono in grado di gestirle davvero? «Purché non si improvvisino produttrici di quello che non hanno mai realizzato, sì. Devono organizzare un sistema preciso per cui, se hanno bisogno di scarpe frivolissime, si rivolgono al laboratorio migliore e se ne assicurano la produzione. Ma si devono costruire un rapporto costante e fedele che può sfociare anche in un'acquisizione o in una partnership, in cui ci si riserva il controllo qualità e la distribuzione».
Quali sono i criteri per superare questo periodo? «Vogliamo far irritare tutti? Allora lo dico: sopravviverà chi riuscirà a cambiare, ad avere una mentalità meno internazionale, meno da new economy, in cui il denaro si guadagna al telefono, inviando un fax dalla barca. Uno di questi giovanotti dal guadagno facile mi ha addirittura spiegato che sì, io avevo guadagnato ma alla vecchia maniera. Bene, io penso che questa vecchia maniera sta tornando ad avere importanza».