Il budget 2002 non è ancora stato ritoccato, ma centrare i risultati previsti – 42,5 tonnellate di oro lavorato, un sostanziale pareggio di bilancio, ricavi in leggera flessione rispetto ai 250 milioni di euro dell’anno scorso – per la Unoaerre sta diventando ogni giorno più difficile. E questo a causa di un problema che sembra un paradosso: la più grande azienda orafa italiana, controllata (51%) dal fondi d’investimento della Deutsche Bank Morgan Grenfell Private Equity (Mgpe), non ha sufficiente oro da lavorare per soddisfare gli ordini.
«Il mercato sta tirando —spiega l’amministratore delegato Federico Minoli ma la materia prima che in questo momento il sistema bancario ci fornisce, attraverso lo strumento tradizionale del prestito d’uso, non basta per far fronte alle commesse«.
Ora la partita si gioca tutta sul terreno delle garanzie. Da un lato Unoaerre rivendica un buon equilibrio finanziario, con debiti pari a 20 milioni di euro esclusivamente a fronte di fatture, dall’altro le banche sembrano intenzionate a stringere i rubinetti dell’oro.
«Abbiamo di fronte due strade spiega Minoli – o il sistema bancario entra in azienda e si convince della nostra affidabilità, oppure Unoaerre dovrà fissare un nuovo break even a sette tonnellate di oro, una manovra difficile da fare in tempi brevi e con effetti dirompenti«. Esclusa, invece, la possibilità di approvvigionarsi acquistando direttamente oro dagli istituti di credito autorizzati, per gli alti costi (servirebbero almeno 20 milioni di euro) e il rischio di oscillazione del prezzo.
In questo contesto, appare arduo far decollare l’atteso pianodi rilancio dell’azienda, che ha chiuso gli ultimi bilanci in rosso. Nel 2000 la perdita si attestò a 5,3 milioni di euro con 43,4 tonnellate di oro lavorato; nel 2001 l’oro lavorato è sceso a 40,6 tonnellate e il risultato si annuncia ancora peggiore. Nell’ultimo anno il turnover è stato bloccato e i dipendenti sono scesi dai 615 del 2000 a 545.