Tra le file dell'ultimo parterre delle sfilate, il dibattito sul lusso è continuato vivacemente tra uno show e l'altro. Come se fosse in corso una specie di crisi esistenziale in cui molti sentono, giustamente, il bisogno di tornare alle proprie radici per capire chi sono, in quale direzione bisogna camminare e con quali strumenti.
Giorgio Armani, che è stato il primo a sollevare la questione durante le sfilate maschili lo scorso gennaio è tornato sull'argomento ancora più decisivamente dopo la sua sfilata.
Giancarlo Di Risio, nuovo amministratore delegato di Fendi, al quale tocca la ristrutturazione del marchio dopo la gestione «a tre» di Prada, Lvmh e la famiglia Fendi ha voluto approfondire ancora di più l'argomento. «Il mercato si sta delineando intorno a due poli: quello che chiamo il lusso "top" e il lusso più allargato», ha spiegato Di Risio, «oggi uno deve sapere da che parte vuole stare. Non è vero che le stesse strategie vanno bene per tutti».
«Armani non può parlare di lusso», ha proseguito Di Risio, «è un marchio che si estende sul mercato a 360 gradi. è un fenomeno nell'abbigliamento, perché fattura più di tutti gli altri, ed è stratificato a tutti i livelli. Ma non sfila a Parigi e non fa accessori di prestigio, una delle prerogative del lusso».
Mentre in Italia si dibatte sul lusso, negli Stati Uniti i grandi magazzini sperano in un recupero del consumismo. Burt Tansky, presidente di Neiman Marcus, ha affermato che il business «è migliorato un po' ogni mese da settembre, per cui siamo cauti, ma ottimisti. Vogliamo essere sicuri che la consumatrice sia tornata, per cui stiamo guardando la stagione autunnale con un atteggiamento conservatore».