Dopo lo shopping, la riorganizzazione interna. Per Gucci il 2002 sarà un anno di riflessione, dedicato a integrare i nuovi marchi, alla loro rifocalizzazione e allo sviluppo delle diverse divisioni trainate dalla forza della doppia “G”. Finite le battaglie legali con Lvmh, questa volta il nemico è rappresentato dalla crisi del mercato del lusso, un problema che Gucci affronta da posizioni di leader e senza affanni di natura finanziaria, avendo in cassa 1,5 miliardi di dollari di liquidità.
Il gruppo fiorentino guidato da Domenico De Sole ha vissuto gli ultimi tre anni di corsa. Tra il 1999 e il 2001 ha rilevato otto aziende con relativi marchi: Sergio Rossi e Yves Saint Laurent nel ‘99; Boucheron e Bedat nel 2000; Bottega Veneta, Alexander McQueen, Stella McCartney e Balenciaga l’anno scorso. In questo arco di tempo, il fatturato consolidato è sostanzialmente raddoppiato, passando da 1,236 miliardi di dollari del ‘99 a 2,258 miliardi del 2000, a 1,660 miliardi nei primi nove mesi dell’ultimo esercizio (31 ottobre 2001).
Con una situazione azionaria finalmente stabile e una massa di denaro disponibile importante, in presenza di una crisi mondiale del settore, Gucci sembrerebbe nella posizione ideale per catturare qualche nuova preda. E non è detto che non accada. Ma la strategia annunciata da De Sole è ben diversa: «Siamo industriali e non raider — ha ripetuto più volte il nostro compito è quello di far funzionare al meglio le cose che abbiamo e quest’anno l’impegno principale riguarderà proprio l’integrazione dei nuovi marchi, l’attivazione delle sinergie possibili e l’applicazione di una filosofia operativa comune, che poi è quella che ha consentito a Gucci di essere vincente sui mercati di tutto il mondo».