Olivier Rousteing è a tutti gli effetti l’enfant prodige della moda fracese. Dopo aver studiato presso l’Ecole Supérieure des Arts et Techniques de la Mode di Parigi, è stato per cinque anni a capo del ready to wear femminile di Roberto Cavalli. A soli 25 anni, nel 2011, è diventato direttore creativo della storica maison Balmain, riuscendo a traghettarla nell’immaginario millennials. Le sfilate del marchio sono applaudite dalle influencer; le celebrities sfoggiano le sue creazioni. Sono pochi i colleghi in grado di eguagliarlo sui social network: l’account Instagram @olivier_rousteing sfiora i 5 milioni di follower. In concomitanza con l’apertura del primo store italiano della griffe, lo stilista ha svelato a Pambianco Magazine le chiavi del successo personale e professionale: tenacia e inclusività. In concomitanza con l’apertura del primo store italiano della griffe lo stilista racconta come inclusività e tenacia siano alla base del successo personale e professionale.tat.
Nel 2009 ha iniziato il suo percorso in Balmain di cui è diventato direttore creativo a soli 25 anni. Com’è cambiato il marchio e com’è cresciuto lei?
Balmain è cresciuto molto grazie al supporto di nuove clienti che ringrazio di cuore. All’inizio, la stampa mi ha anche criticato aspramente, ma ho continuato sulla mia strada. Ancora oggi, c’è chi non apprezza il mio stile, ma la forza di Balmain sta proprio nella scelta di non essere un marchio neutrale, può essere amato oppure odiato.
Dalla première dame Brigitte Macron alla diva dei social network Kim Kardashian passando per Rihanna e Cindy Crawford. Le collaborazioni con le celebrities sono importanti per il brand?
Ne influenzano il successo? Sono indispensabili. Io credo molto nella diversità, il mondo di Balmain non rappresenta una sola età, lo stesso tipo di corpo, un unico backgroung. Ciò che accomuna tutte le donne Balmain è la forza con cui rivoluzionano il proprio mondo.
Balmain ha collaborato con H&M, Victoria’s Secret, L’Oréal. Come nascono queste partnership con i colossi mass market?
Queste collaborazioni mi divertono. Attraverso la collezione con H&M sono arrivato a persone che magari non potevano permettersi Balmain. Da amante dell’estetica, la partnership con L’Oréal mi ha coinvolto molto e sono contento che i prodotti abbiano riscosso un ottimo successo commerciale. Attraverso L’Oréal il marchio ha approcciato un universo nuovo, quello della cosmetica, mi piace sperimentare. Un anno fa ho collaborato con l’Opéra de Paris, recentemente ho realizzato i costumi di scena per le performance di Beyoncé al Coachella. L’unica cosa che odio è la noia.
Come mai l’Italia rappresenta il secondo mercato per Balmain dopo gli Stati Uniti?
In Italia, uomini e donne osano, non hanno paura di essere sexy. Gli italiani amano la bellezza, è parte del dna del Paese. Ci vuole molta sicurezza in se stessi per vestire Balmain, e gli italiani eccellono in questo.
Cosa rappresenta il primo store italiano di Balmain, in via Montenapoleone?
Per me è un grandissimo successo perché adoro l’Italia, adoro Milano. Ricordo quando da piccolo ho vissuto qui la mia più grande storia d’amore. Adoro la moda, la cultura, il cibo, la gente, l’arte, l’architettura.
Oltre a essere direttore creativo di Balmain è anche direttore creativo dello store, cosa ha rappresentato ideare un punto vendita?
È importante perché creare un universo rappresenta una cosa diversa dal realizzare vestiti. Con lo store ho potuto spingere veramente l’immagine Balmain, non solo attraverso le collezioni, ma anche attraverso l’architettura e il modo in cui le collezioni sono presentate. Lo store rispecchia completamente l’immagine del brand, un mondo fatto di lusso, qualità, couture a cavallo tra la tradizione francese e contemporaneità. Al di là di acquistare gli abiti per me è importante fornire un’esperienza al cliente dimostrando che Balmain è un universo a sé. Oggi il pubblico compra la moda in maniera diversa rispetto a dieci anni fa, dobbiamo essere pronti ad ascoltare i millennials, le nuove generazioni. Fidelizzare i nostri clienti e, allo stesso tempo, attrarne di nuovi.
Nuove generazioni che riesce a intercettare anche attraverso il suo account Instagram. Come ci si sente a essere anche una star dei social network?
Ho una fan base maggiore rispetto ad altri fashion designer perché la moda in sé non ha senso, acquista importanza quando apre ad altri universi. Io sono innamorato della musica e dell’arte, e sto includendo nel mondo Balmain cantanti e artisti, anche attraverso la realizzazione di campagne diverse. Il casting delle modelle che sfilano rispecchia davvero le nuove generazioni. Anche per questo ho 5 milioni di follower che vedono in me un coetaneo che magari sembra capirli più di altri. Adoro essere ispirato dal passato, ma sono il primo a tenere d’occhio il presente e, soprattutto, a guardare sempre al futuro.
Il complimento che le ha fatto più piacere e la critica che l’ha ferita di più?
Durante l’ultima tornata di sfilate, Vogue Paris ha scritto: “Nonostante tutti i pregiudizi che la gente può avere, grazie a Olivier Rousteing per essere parte della fashion week perché è unico e abbiamo bisogno di lui per fare brillare la città”. Per le critiche negative basta leggere ogni stagione il New York Times.
C’è un fashion designer che ammira particolarmente?
Karl Lagerfeld. Penso che oggi sia il designer più giovane, è davvero legato alle nuove generazioni. Ha molta ironia ed è un grande lavoratore. Non gli importa cos’è cool o non-cool, rimane sempre autentico. Tutti noi designer dobbiamo imparare che si può lavorare con ironia. Mi ispiro molto alla sua visione della moda, ammiro cosa ha costruito in questo settore. Michael Jackson è stato il Dio della musica, Karl è quello della moda.
di Marco Caruccio