Massimo, come lo chiamano qui, non è riuscito a trattenere una lacrima. Ha appena tagliato il nastro di inaugurazione dell’ArtLab, e ricevuto un applauso di qualche minuto da parte dei suoi colleghi. Di fianco ha il suo capo Marco Bizzarri, numero uno di Gucci. Dall’altra, ha il capo del suo capo, il numero uno della capogruppo di Gucci, François-Henri Pinault. Gli hanno dato la responsabilità di un impianto che rappresenta “il più importante investimento industriale del gruppo in Italia”. E anche “qualcosa di unico a livello di gruppi del lusso”. Insomma, un ruolo chiave, per una scommessa che varrà a regime oltre il migliaio dipendenti e, soprattutto, una buona fetta della scommessa di internalizzazione produttiva della Doppia G. Sia come sia, per qualche attimo, Massimo si lascia andare. Sarà anche un manager, sarà anche di fronte ai suoi referenti, avrà anche la responsabilità del timoniere, però non ce la fa. Deve girarsi qualche istante e, velocemente, portarsi la mano a fianco dell’occhio. Per asciugarlo. Sono i momenti più emozionanti della giornata di presentazione dell’ArtLab di Gucci a Scandicci, nella città metropolitana di Firenze, aperto in gennaio e ufficializzato il 19 aprile alla presenza del sindaco e dei massimi vertici del gruppo. Nonché, appunto, di Massimo Rigucci, da circa 15 anni responsabile calzature e pelletteria della griffe toscana, e, adesso, responsabile del nuovo impianto, e di tutto ciò che rappresenta. In termini di ricerca, qualità e coinvolgimento delle persone: alle spalle di Massimo (nessuno dice mai il cognome o la carica), al momento del taglio del nastro non c’è spazio per tutti. Ma quelli che non sono sulle scale, stanno a guardare dal piano di sopra. E chi è nei laboratori o alle macchine, chiede in diretta come sta andando. Qui sembra che la scommessa di Gucci, quella integrazione col territorio proclamata e inseguita da anni da monsieur Pinault, abbia accelerato e trovato un momento tangibile. L’ArtLab sembra combinare la forza creativa dello stilista Alessandro Michele (che per tutti, qui, è solo Alessandro) con quella industriale e artigiana delle persone. All’esterno, lo stabile, 37mila metri quadrati recuperati dalla ex fabbrica di macchinari per scarpe della Matec, porta addosso i murales che Gucci ha disseminato nel mondo negli ultimi mesi. All’interno, spicca l’identità a impatto di Michele, quella che ha consentito “un raddoppio della capacità produttiva in due anni” e spinto i conti del brand: una grande scala laccata in rosso al centro della reception, che porta a un primo piano di accoglienza, dotato di bancone bar con ottoni e vetri luccicanti, immerso in pareti tappezzate con i simboli attuali di Gucci, alternate ad affreschi che riportano alle sale della “Primavera” dei castelli medievali. Al centro, un biliardino.
MOLTIPLICA PER DUE
Quel biliardino sembra il simbolo di un progetto che, dice Massimo, “è incentrato sulle persone”. Non potrebbe essere altrimenti. Bizzarri ha appena rivelato che, al suo arrivo in Gucci, si pensava alla chiusura di una fetta importante dei rapporti di fornitura con i laboratori del territorio, una cosa che poteva significare 5mila persone fuori dalla filiera del brand. Le cose sono andate all’opposto. Negli ultimi tre anni, Gucci ha addirittura integrato quei laboratori, e la quota di produzione in house è passata dal 5-7% a circa il 50 per cento. Nell’ArtLab ci sono oggi 800 dipendenti, una gran parte arrivata da Casellina, l’altra sede del marchio. Ma si parla dell’arrivo di altre 400 persone, e gli spazi vuoti nel nuovo centro sono evidenti: negli uffici, nei laboratori, nei reparti di ricerca, è tangibile quanto ArtLab ancora attenda altri ‘ospiti’. Qui si passa da sale dedicate al brainstorming, a sale di archivio e poi ai laboratori, con le macchine che provano la resistenza, gli scarpometri che simulano i chilometri di camminata, l’agatatrice per il coccodrillo, macchina degli anni 40 portata da Casellina, fino al mondo un po’ filosofico della prototipia, dove Gianfranco-detto-Manidoro ha il potere (invidiatissimo) di creare a fianco di Alessandro (Michele). Fino a qualche minuto prima della sfilata. C’è anche la modella dedicata alla prova delle calzature. Mentre per le borse, per quelle non si fatica a trovare indossatrici volontarie all’interno dello stabilimento.
Scarpe e borse, appunto. Perché questa è la scommessa: riunire sotto un unico tetto l’intero universo creativo di Gucci, inclusi i laboratori del bambù e chi fonde i metalli per gli accessori. “Rappresenta uno dei più importanti traguardi di questo incredibile viaggio di Gucci negli ultimi tre anni, nonché uno degli investimenti industriali più significativi oggi nel nostro Paese”, ha spiegato Bizzarri, introducendo la giornata di inaugurazione. Bizzarri non ha voluto indicare la cifra investita, ma la rilevanza del progetto non è solo nei numeri. Infatti, “si tratta di un centro che non ha rivali al mondo – ha proseguito Bizzarri – perché nessun competitor ha qualcosa del genere: racchiude in un’unica area le attività di ricerca e sviluppo relative alla pelletteria e alle calzature (due categorie di prodotto che insieme rappresentano oltre il 70% del totale delle vendite Gucci alla fine del 2017)”. La rilevanza del progetto, soprattutto, è certificata dalla presenza di Pinault, il quale ha sottolineato che l’ArtLab “non è solo una pietra miliare per Gucci, ma anche un esempio della strategia del gruppo Kering in termini di legami col territorio e con la sua comunità”. Il manager francese è tornato a sottolineare un concetto più volte ribadito, ed espresso con convinzione già qualche anno fa in occasione di un convegno Pambianco: “Forse in Italia non c’è piena consapevolezza di quale patrimonio rappresenti questa industria territoriale in Toscana. Noi siamo orgogliosi delle radici di Gucci, e continueremo a investire su queste radici”. Pinault si è dimostrato molto più avanti di molte aziende del made in Italy che hanno tardato a riconoscere il valore della propria filiera. L’Italia, insomma, sembra non avere percezione di cosa significa l’integrazione fabbrica-territorio. Ma loro sì. I dipendenti di ArtLab sembrano averlo compreso fino in fondo, il valore di queste radici. Gli applausi per Massimo, il riconoscimento per Alessandro, l’impegno e la disponibilità nell’accompagnare (e ringraziare) i visitatori nella giornata di inaugurazione, sono segnali solo apparentemente piccoli. Tutti loro portano con disinvoltura una ‘vestina’ chiara. È stata introdotta qui a Scandicci. Dietro, c’è scritto ‘Maison de l’amour’.
di Luca Testoni