Una “wake-up call”. Così Mark Oaten, CEO della International Fur Federation (Iff), descrive l’annuncio, dello scorso autunno, di Gucci. La casa della doppia G ha deciso di prendere una posizione ufficiale e chiara contro l’utilizzo delle pellicce, “senza preavviso in un modo che ci ha scioccato”. Al seguito, si sono poi mossi altri brand di primo piano, a cominciare da Versace e Furla.
Di quella “wake up call”, Oaten ha raccontato ieri, in una chiacchierata con Pambianconews, i risvolti anche personali, per cui il mondo della pellicceria si è svegliato con la consapevolezza che qualcosa stava cambiando. E, questa volta, non in modo marginale e trascurabile, come possono essere i sit-in colorati e coloriti di fronte ai negozi. Ma in una maniera “che riguarda la sopravvivenza di questo settore”.
Oaten era a Milano per presentare la campagna Natural Fur, con la quale Iff ha lanciato un contrattacco internazionale basato in modo deciso su sostenibilità e responsabilità aziendale. Si tratta della prima volta che un comparto imprenditoriale lancia la sfida sui temi sostenibili, mettendo in gioco la propria stessa esistenza. L’operazione “ha previsto un significativo aumento del budget sul 2018”. Che si è tradotto in mandati a nuove agenzie di comunicazione nei 3-4 mercati chiave, tra cui l’Italia; nella realizzazione della brochure “Natural Fur – The responsible choice”; e nell’avvio di una serie di progetti di ricerca sulla tracciabilità che puntano ad associare a ogni pelliccia il proprio ‘storytelling’ di origine, e ad arrivare a una “certificazione sulla full global sustainability della pelliccia, ovvero comprendente il welfare dell’animale, l’ambiente e la responsabilità sociale, a cominciare dalla tutela dei lavoratori”.
Sono tre i presupposti della battaglia. Il primo è quello di un confronto sulla sostenibilità ambientale, essendo la pelliccia un indumento “della durata media di 20 anni”, nonché privo di plastiche, quindi in netto vantaggio nell’ottica dell’economia circolare, rispetto all’abbigliamento, in particolare quello fast, messo oggi sotto accusa anche a livello di istituzioni internazionali per l’impatto ambientale. Il secondo presupposto è quello della trasparenza, attraverso un progetto di “life cycle analysis” avviato nel 2017 e che porterà i propri risultati nel 2019, sulla sostenibilità dell’intera filiera della pelliccia naturale. Infine, terzo ambito di confronto sarà quello del “rispetto dell’animal welfare”, con la diffusione di uno standard, certificato WelFur, a partire dal primo gennaio 2020. È quello probabilmente più delicato, anche perché il programma ha il supporto dei principali gruppi della moda , ma “abbiamo cercato di coinvolgere anche le associazioni degli animalisti, e queste non ne vogliono sentir parlare”.