Ivan Scalfarotto ha centrato l’obiettivo. La settimana della moda che si è appena conclusa, ha acceso i riflettori su Milano. Il sottosegretario ha portato avanti il progetto tracciato dal predecessore, il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, e ha guidato le fasi conclusive del lavoro avviato con la costituzione del tavolo nazionale della moda. Quello che era l’obiettivo dichiarato, cioè fare a Milano la “super settimana della moda”, si è tradotto in un progetto basato su tre assi: l’integrazione/avvicinamento delle fiere della filiera nella settimana della moda; la creazione di Milano XL, ovvero sette installazioni creative, organizzate in città dai diversi segmenti del sistema; il lancio dei Green Carpet Fashion Awards, per legittimare il lavoro impostato dalla Camera in termini di sostenibilità. Il risultato, si diceva, è stato quello di moltiplicare l’attenzione, ottenendo per questo importanti consensi. Il coro è unanime nel riconoscere a Milano un dinamismo e un’effervescenza perduti, che l’hanno riportata al centro dei radar internazionali, in concomitanza con un momento di riflessione delle altre fashion week. Il presidente di Camera Moda Carlo Capasa non ha nascosto il proprio entusiasmo definendo quella appena conclusa come “la migliore settimana della moda da qualche anno a questa parte”, arrivando a parlare di “nuovo Rinascimento”. Detto questo, occorre anche ragionare su alcuni aspetti. Riprendendo il titolo di un editoriale sul New York Times, è utile chiedersi davvero “Does Milano matter?”. E, soprattutto, chiedersi: per chi? La generale approvazione degli addetti ai lavori ha riguardato l’effetto show di Milano XL e dei Green Carpet Fashion Awards, intuendone la forte capacità comunicativa, e la forza di coinvolgimento della città (e più in generale del pubblico) verso la moda. Ma è difficile strappare agli operatori un commento, un’analisi, sugli effetti operativi o strategici che queste esibizioni hanno portato al sistema. Buyer e giornalisti spesso non sapevano dove le installazioni fossero dislocate. Ci sono operatori che si chiedono quanto i premi “green” siano riconducibili all’impostazione tecnico-scientifica tenuta dalla Cnmi con la pubblicazione delle linee guida sulla sostenibilità. Dal punto di vista del business, hanno senz’altro pesato di più le iniziative delle fiere degli accessori, capaci di creare sinergie logistiche con le passerelle, sia in termini di date sia in termini di coinvolgimento delle griffe tra gli espositori. Insomma, si può concludere che il “bersaglio-consumer” sia stato centrato ed è un’ottima condizione di partenza. Ma Milano, da sempre, rappresenta una capitale della moda per la sua capacità di tradurre la creatività in business. È questo il prossimo, decisivo, obiettivo da centrare.
David Pambianco