Parlamento, Consiglio e Commissione Ue hanno trovato un’intesa sul nuovo sistema di calcolo dei dazi antidumping (il termine dumping identifica le esportazioni a prezzi sottocosto) a tutela degli interessi dell’industria europea. “In base all’accordo – si legge su fonti di stampa italiane – le imprese europee non vengono caricate di nessun ulteriore onere della prova (che invece emergeva da una prima proposta della Commissione Ue) ed è mantenuto l’attuale livello di dazi sulle importazioni”. All’origine della necessità di varare una nuova normativa è stato soprattutto il ruolo della Cina che, al suo ingresso nella Wto, nel 2001, era stata inquadrata come economia non di mercato. “Nel caso di economie di mercato – spiega Il Sole 24 Ore – la verifica dell’esistenza del dumping viene effettuata sulla base dei costi effettivi del produttore. Se un’economia è non di mercato, invece, dato che i prezzi domestici sono distorti, si deve ricorrere ad altri parametri, come i costi di produzione in altri Paesi analoghi. Ad esempio, confrontando la Cina ai costi di produzione del Brasile. Grazie a questa procedura, l’Unione Europea ha in attivo dazi antidumping per una cinquantina di prodotti cinesi”.
Tuttavia, lo status di economia non di mercato per la Cina è scaduto nel dicembre 2016 e per l’ex Celeste impero non è più possibile seguire procedure basate su prezzi di Paesi analoghi. Se da un lato il Gigante Asiatico puntava a un riconoscimento dello status di economia di mercato (con conseguente abolizione di molti dazi antidumping), dall’altro molti Paesi hanno ostacolato questa evoluzione, soprattutto per la mancanza di standard di trasparenza. Da qui la nuova legge in cui, spiega sempre Il Sole 24 Ore, decade la definizione ex ante tra economia di mercato e non (quindi tutti i Paesi sono uguali, Cina compresa) e viene introdotto un meccanismo per difendersi dai concorrenti che distorcono i mercati. “Se le imprese europee, i sindacati o gli stakeholder sospettano possibili distorsioni, compreso il dumping sociale e ambientale, possono segnalarlo alla Commissione, che avvia un’indagine e redige un rapporto. Nel corso della procedura è previsto un contraddittorio e sarà l’esportatore a dover provare che non sono state attuate pratiche di commercio sleale”.
La nuova intesa dovrà ora essere formalizzata dal Consiglio europeo e votata in seduta plenaria dal Parlamento europeo a novembre.