Nel 2016 l’export degli orologi svizzeri ha perso il 9,9%. Al salone di Basilea gli espositori stimano un 2017 stabile e si interrogano sul ‘fenomeno connected’.
U n 2016 che ha fatto rivivere la crisi del quarzo degli anni Ottanta, e un 2017 che, nonostante la falsa partenza dei primi due mesi dell’anno, dovrebbe segnare il ritorno alla stabilità. Questo, in sintesi, il messaggio che emerge dall’analisi di Vontobel sul mercato dell’orologeria svizzera, il cui export, nel 2016, ha registrato una flessione annua del 9,9% a 19,4 miliardi di franchi (18,1 miliardi di euro), in netto peggioramento dal -3,3% del 2015 e, soprattutto, dalla progressione dell’1,9% del 2014 e del 2013. In negativo, nei dodici mesi, tutte le piazze principali delle lancette svizzere: Hong Kong (-25,1%), Stati Uniti (-9,1%), Cina (-3,3%), Giappone (-3,3%), Italia (-10,3%), Germania (10,8%), Singapore (-10,4), Francia (-19,6%) ed Emirati Arabi (-2,8 per cento). Unico segno più, al quinto posto per incidenza sull’export, il Regno Unito, che ha registrato un +3,7% spinto dal basso valore della sterlina e dallo shopping dei turisti. Guardando alle diverse fasce di prezzo dei segnatempo, a evidenziare il calo più vistoso in termini di valore (-11,6%) è stato il segmento high-end (orologi che costano più di 3mila franchi svizzeri), che ha inoltre perso l’8,6% in termini di unità vendute e “per la prima volta – sottolinea la banca di Zurigo – ha visto abbassarsi il prezzo medio, a -3,3% per 8.241 franchi”.
GIÙ HONG KONG, RIPARTE LA CINA
Nel 2008, Hong Kong aveva sottratto agli Usa il ruolo di sbocco principale delle esportazioni di orologi svizzeri, raggiungendo una fetta del 21% nel 2011, per poi scendere al 14,8% nel 2015 e al 12,3% nel 2016. Le vendite nella regione amministrativa speciale della Cina hanno iniziato a contrarsi nel 2013 (-5,6%), sono rimaste sostanzialmente stabili nel 2014 (-0,1%), per poi perdere il 23% nel 2015 e, appunto, il 25,1% lo scorso anno. A spiegare il generale deterioramento del mercato il fatto che, per i cinesi, l’ex colonia britannica non è più la meta principale dello shopping. A questo si aggiungono le agitazioni sociali e la forte rivalutazione del dollaro. A gennaio 2017, quando l’export globale degli orologi elvetici ha perso il 6,2% a 1,43 miliardi di franchi rispetto a gennaio 2016, Hong Kong ha ceduto il 3,9%, per poi inciampare in un -12,1% a febbraio, quando, a livello mondiale, le esportazioni rossocrociate hanno perso il 10% a 1,49 miliardi. D’altro canto, a gennaio e febbraio, la Cina continentale ha messo a segno rispettivamente un +7,8% e un +6,4%, confermando la ripresa del Gigante asiatico, già emersa dai conti di due player di riferimento come Richemont (nel terzo trimestre fiscale) e Swatch (a dicembre e gennaio scorsi). Secondo le stime di Vontobel, nell’intero anno le esportazioni di orologi dovrebbero segnare un +1% per 19,6 miliardi di franchi.
BASELWORLD, LUCI E OMBRE
Termometro della performance del settore, Baselworld ha dato il via all’edizione 2017, in calendario dal 23 al 30 marzo, ospitando circa 1.300 espositori, in calo rispetto ai 1.500 del 2016. “La situazione attuale – ha dichiarato alla stampa internazionale Eric Bertrand, presidente del Comitato degli espositori della fiera di Basilea – è un’opportunità per coloro che hanno lavorato correttamente in questi ultimi anni e che dispongono di basi solide sul mercato. Se alcuni marchi hanno dovuto fare marcia indietro, i brand che si sono sempre concentrati sul know-how sono invece tuttora presenti”. Tra le novità della fiera, l’area Les Ateliers, dedicata ai watchmaker indipendenti, ma soprattutto il debutto dello stand di Samsung, segno dell’avvicinamento tra orologeria ed elettronica di consumo. Gli smartwatch possono rappresentare un’opportunità per il settore? Per alcune delle aziende intervistate da Pambianco Magazine non è così. I produttori di orologi devono imparare a raccontarsi come “qualcosa di molto diverso” dalle wearable technologies e stimolare nel cliente una vera e propria cultura orologiera. “Non credo – ha raccontato a Pambianco Magazine Mario Peserico, AD di Eberhard Italia – che chi nel mondo dell’orologeria meccanica ha sviluppato soluzioni connected abbia trovato delle soluzioni rispetto alle difficoltà attuali, soprattutto dovendo fare i conti con un posizionamento di prezzo molto diverso da quello degli smartwatch. L’orologeria deve portare avanti la sua storia, le sue innovazioni e comunicare i prodotti attraverso coloro che li apprezzano, in modo che siano questi ultimi a trasmetterne la differenza ai millennials e ai fruitori della tecnologia”. Contraltare l’esperienza di Tag Heuer, uno dei primi brand a sviluppare modelli conntected. Secondo Andreas Albeck, marketing director dell’azienda, tra i competitor degli orologi di lusso vanno identificate categorie di beni e di servizi come la tecnologia e il turismo. Le aziende devono dunque fare sistema per alimentare la voglia di orologi nei consumatori. “Nel 2016 il settore ha sofferto, e i dati attuali allontanano le prospettive di una crescita generale al 2018 – ha spiegato il manager a Pambianco Magazine -. Per Tag Heuer il lancio di orologi connected si è tradotto in un significativo aumento delle unità prodotte. Il sell out è andato molto bene sul mercato Italiano e non solo. L’evoluzione di alcuni segnatempo in chiave smart è quindi un driver di crescita”. Dalla sua, il marchio di Lvmh ha anche beneficiato di diverse partnership con il mondo dello sport, riuscendo ad avvicinare il target maschile tra i 25 e i 35 anni d’età. A scommettere su 178 anni di storia e sui continui investimenti in ricerca è invece Patek Philippe, che oggi realizza il 45% delle vendite in Europa: “Diversamente da altri brand – ha spiegato a Pambianco Magazine Laura Gervasoni, direttore generale di Patek Philippe Italia – abbiamo sempre coltivato la clientela europea, a cui si è aggiunta una buona affluenza dai mercati orientali. Il 2016 è stato un anno di sfida per tutti i marchi. Patek Philippe è un’azienda solida. Abbiamo continuato a investire in tutti i settori, come testimonia l’ampliamento dell’impianto produttivo di Ginevra, intervento da 500 milioni di franchi svizzeri”.
IL MERCATO ITALIANO
Centrale nelle strategie di alcuni dei principali espositori anche il ruolo dell’Italia, bacino che nell’ultimo anno ha beneficiato della crescita dello shopping dei turisti. “Se in passato la clientela in nel Paese era esclusivamente italiana, oggi è molto diversificata”, ha continuato Laura Gervasoni. Stando alle dichiarazioni di Francesca Ginocchio, AD di The Swatch Group Italia, l’incremento del turismo avrebbe trainato anche la progressione “double digit” delle vendite italiane dei marchi del colosso di Bienna, forti di 10 nuovi store aperti nella Penisola nel 2016. “Negli ultimi anni l’Italia è stata per noi protagonista di una progressione costante”, ha spiegato a Pambianco Magazine Augusto Capitanucci, regional director mediterranean countries di Hublot, anticipando come il brand di Lvmh sia pronto ad aprire tre negozi nel Paese. Passa invece attraverso 600 gioiellerie e un centinaio di vetrine Stroili Oro la distribuzione in Italia del marchio americano Bulova, le cui vendite nel Belpaese (dove è presente dagli anni 70) hanno messo a segno un +120% negli ultimi due anni (l’azienda non ha fornito un valore assoluto). Secondo le rilevazioni di Assorologi su un consumer panel di 8mila famiglie, nel 2016 gli acquisti di orologi nel nostro Paese hanno registrato una sostanziale stabilità in termini di volumi (+0,01% per 6,735 milioni di unità) e una crescita del 5,7% in valore, toccando quota 1,49 miliardi di euro. Orologerie e gioiellerie tradizionali si confermano canale privilegiato d’acquisto (39,3%), ma avanza dal 16,3% al 25,6% l’incidenza dell’e-commerce.
di Giulia Sciola