L’operazione Luxottica-Essilor, anzi, Essilor-Luxottica, segna un altro passaggio del percorso del made in Italy. E, purtroppo, non sembra un gradino verso l’alto. Il deal franco-italiano è l’iniziativa meno “rumoreggiata” degli ultimi decenni. Niente è trapelato, sebbene Leonardo Del Vecchio, il dominus assoluto di Agordo, abbia dichiarato di essere convinto da tempo che l’integrazione fosse l’operazione giusta. In realtà il cambio di rotta è avvenuto qualche anno fa, con l’allontanamento in blocco del top management che aveva dato ottima prova di sé ed era molto apprezzato anche dalla Borsa. Lo scopo di Del Vecchio sembra sia stato quello di riprendere le redini dell’azienda per rimodellarla in un format pre-acquisizione dei grandi brand, Ray- Ban, ma soprattutto Oakley. Operazioni che, oltre ad aver portato fatturato, avevano fatto fare un salto culturale all’azienda. è una fusione che, certo, porterà quelle sinergie industriali derivanti dall’integrazione con un fornitore a monte. Ma sono poca cosa considerando che oggi tutta la battaglia si gioca sul mercato, nel rapporto con il consumatore. Un campo di gioco su cui Essilor ha un know-how limitato. Altro sarebbe stato l’unione con un’azienda a valle, proprietaria di brand, reti distributive, o siti di e-commerce. Come gestirà, il nuovo gigante, marchi come Ray-Ban e Oakley e le catene di Luxottica nel mondo? Insomma, nell’operazione la sinergia principale è quella dell’iniezione di una governance esogena. In questa Del Vecchio ha di fatto delegato ad Essilor l’incarico di ricostruire la struttura manageriale, che non potrà che divenire franco-centrica, visto che l’operazione prevedrà anche il de-listing da Milano e la quotazione del nuovo gruppo solo a Parigi. In sostanza, un altro leader del made in Italy è passato in mani francesi. Per l’Italia è un duro colpo anche in termini di Borsa, visto che Piazza Affari perde qualcosa come 25 miliardi di capitalizzazione, ovvero il 5% del valore complessivo, e ben la metà della capitalizzazione del lusso. Ancora più grave è che si è persa un’altra occasione per creare un polo del lusso di dimensioni mondiali. A questo punto, la domanda è se c’è ancora spazio, in Italia, per la creazione di un gruppo aggregante. In questo momento, il candidato più accreditato appare Moncler. La società è guidata da un imprenditore giovane e capace, Remo Ruffini, che può giocarsi carte importanti: una redditività elevata abbinata a tassi di crescita che hanno ormai spinto il fatturato al miliardo di euro; la conoscenza industriale necessaria per promuovere un polo italiano del lusso nell’outerwear; un’esperienza di successo sul mercato finanziario. Proprio l’elemento Borsa potrebbe rivelarsi determinante: permetterebbe un’acquisizione con azioni, consentendo allo stesso tempo di rafforzare l’azionariato stabile dell’azienda mettendola al riparo da ipotetiche scalate ostili. È solo un’idea, ma una bella idea su cui riflettere.
David Pambianco