La moda è il fanalino di coda tra tutti i settori in termini di trasparenza online. A dirlo è la ricerca 2016 Webranking, condotta da Lundquist in collaborazione con Comprend, sulla qualità dell’informazione web delle società non quotate sui listini. Il settore del fashion rimane in ultima posizione con il 16% di risultato medio in rapporto al punteggio massimo. La prima società del fashion è molto lontana dal podio: Prada, considerata nello studio anche se quotata a Hong Kong, si posiziona al 12esimo posto. Seguono Otb Diesel (33esimo), Versace (50esimo), Calzedonia (51esimo), Furla (56esimo), Max Mara (57esimo), Dolce&Gabbana (61esimo) e Armani (62esimo).
Soltanto Prada, si legge nella ricerca, pubblica sul sito il bilancio annuale e il rapporto di sostenibilità. A questo proposito, nonostante la sostenibilità e l’etica di business siano ormai temi importanti anche per il settore del fashion, solo Prada e Otb Diesel ne fanno accenno sul proprio sito. Vale la pena di notare come in Italia gli altri settori si siano mossi da tempo. Inoltre, nonostante i numerosi cambi di poltrone nel mondo del fashion, nessuna delle aziende considerate fornisce informazioni sui manager.
Il settore alimentare, al contrario, è quello che ha migliorato di più la propria performance, probabilmente spinto dalla richiesta di maggiori informazioni su azienda e prodotto da parte dei consumatori e dell’opinione pubblica
Nel complesso, delle 62 aziende prese in considerazione, hanno passato il test solo 4 società (erano due lo scorso hanno), che hanno ottenuto più della metà del punteggio massimo (40 punti su 80), considerato la soglia minima da raggiungere per soddisfare le esigenze degli stakeholder. Al primo posto c’è Sace (53,2 punti su 80), seguita da Pirelli (49,1) e da Ferrovie dello Stato (43) che sale dalla sesta alla terza posizione. Granarolo, scesa alla quarta posizione, si mantiene sopra la metà del punteggio massimo.
Male tutte le altre. Oltre due terzi del campione ha ottenuto meno del 30% del punteggio massimo. Dal report, insomma, emerge che crescono le aziende trasparenti, diminuiscono quelle bocciate (nel 2015 erano il 70%, quest’anno ‘solo il 63%), ma la trasparenza rimane ancora un valore lontano da raggiungere per la maggior parte delle società.
I criteri della ricerca derivano dalle esigenze degli stakeholder, nell’ottica di comprendere come le aziende rispondono alla crescente richiesta di ‘presa di responsabilità’ da parte dei clienti e della comunità interessati a conoscere cosa sta dietro a prodotti e servizi.