Il fast fashion ha ingenti margini di crescita per il futuro, soprattutto grazie ai Paesi in via di sviluppo. Questo è ciò che emerge dalla nuova ricerca condotta da McKinsey & Co., la quale ha analizzato non solo i consumi di moda del nuovo millennio, ma ha anche messo in luce gli aspetti bui dietro questo sistema, tra cui lo sfruttamento intensivo di risorse umane e ambientali.
Oggi, infatti, il fenomeno del fast fashion non è più solo materia dei Paesi sviluppati, bensì sono e saranno le economie in via di sviluppo a trainare ancora il fenomeno, grazie alle crescenti possibilità economiche tipiche della nuova middle class. Tra queste: Brasile, Cina, India, Messico e Russia, dove le vendite crescono otto volte più velocemente rispetto a Canada, Germania, Regno Unito e Stati Uniti.
Per contro, le conseguenze sono preoccupanti. In particolare, è stato stimato che se l’80% della popolazione appartenente a queste nuove economie raggiungerà i livelli di consumo occidentali entro il 2025, allora l’impatto ambientale sarà ancora più allarmante rispetto all’odierno, registrando un aumento di emissione di Co2 del 77% , di consumi d’acqua del 20% e di sfruttamento delle terre del 7 per cento.
Inoltre, lo studio ha rivelato che, nel periodo compreso tra il 2000 e il 2014, la produzione di abiti è duplicata e il numero di abiti acquistati dal consumatore medio è aumentato del 60 per cento. Grazie ai prezzi bassi del fast fashion, infatti, il consumatore è invogliato all’acquisto continuo, frutto di una foga che riduce il ciclo di vita di un abito che oggi, a differenza di 15 anni fa, vive negli armadi di chi li indossa la metà del tempo.