L’Italia resta un mercato importante per i marchi mondiali. Un mercato capace di garantire ottimi risultati, a prescindere dalla tipologia merceologica o dal posizionamento. Lo evidenzia un’analisi realizzata da Pambianco sui bilanci delle filiali italiane dei principali gruppi internazionali, i cui risultati sono approfonditi in un articolo all’interno di questo numero. I consuntivi mostrano indici di sviluppo generalmente molto positivi e, soprattutto, continui. Il tasso aggregato di crescita del campione è di quasi il 30% su tre esercizi. Un valore piuttosto solido, tenendo conto della presenza di qualche segno meno consistente. La prima e più evidente chiave di lettura dell’analisi, dunque, è che i gruppi esteri in Italia non hanno praticamente sentito gli effetti della crisi. L’analisi offre poi un’ulteriore prospettiva di riflessione. E cioè che a garantire maggiore solidità di risultati sono le filiali dei gruppi più strutturati. Salvo alcuni fenomeni ‘emergenti’ come Michael Kors e Pandora, il timone della crescita è saldamente in mano alle realtà di maggiore dimensione. Le prime cinque filiali per fatturato esprimono tutte tassi di sviluppo rilevanti (nonostante fossero già elevati i valori assoluti di partenza). In sostanza, chi è grande, diventa sempre più grande. Chi sostiene i conti delle divisioni italiane dei colossi stranieri sono, da un lato, i grandi flussi turistici delle principali città; dall’altro, la spinta di un mercato interno che sta accelerando il passaggio verso la convenienza delle grandi superfici (a scapito del precedente modello del ‘piccolo negozio’). In questo scenario di forze in movimento, la dimensione accresce la propria rilevanza soprattutto nel risiko della distribuzione. Basta guardare a ciò che sta avvenendo a Milano, dove le cattedrali del fast fashion stanno sottraendo spazi crescenti della città alle griffe. In questa sorta di ‘accerchiamento’, il lusso del Quadrilatero dovrà anch’esso ragionare sulle scelte da fare per garantirsi il futuro.
David Pambianco