La fine delle sanzioni internazionali ha messo il Paese nel mirino dei brand italiani. E i dati già parlano di aumenti a tre cifre delle vendite di made in Italy.
Islam e apertura occidentale, rigidi codici culturali e voglia di novità. Oltre a essere la culla del mondo, l’Iran è bacino dove fermentano le diverse contraddizioni e, soprattutto, un Paese che ha voglia di cambiamento. Alcuni lo definiscono il nuovo Eldorado della moda e del lusso. Di certo, è una regione che sta catalizzando un forte interesse da parte dei principali governi europei e dei privati, dopo la revoca a inizio anno delle sanzioni internazionali. Non a caso, l’Italia è al suo quinto viaggio ufficiale nel Paese e alla sua terza missione commerciale per rinsaldare i rapporti tra le due nazioni. Anche la moda italiana non si è tirata indietro. Nel corso della Missione Iran dello scorso aprile, Smi-sistema moda Italia, l’associazione confindustriale di categoria presieduta da Claudio Marenzi, si è inserita in extremis tra le realtà coinvolte e, in quell’occasione, ha firmato con Teheran garment union, l’omologo iraniano di Smi che riunisce oltre 20mila imprese aderenti, un Memorandum of understanding che, spiega la nota ufficiale, faciliterà le imprese dal punto di vista burocratico “ottenendo direttamente la licenza (di distribuzione, necessaria per vendere nel Paese, ndr) dal Tgu, l’ente preposto dal governo a tale incarico”. “A novembre torneremo a Teheran per un nuovo incontro con l’associazione di settore locale”, ha spiegato Marenzi. “L’Iran – ha proseguito – è un ottimo mercato di sbocco per le imprese italiane. Nel 2015, l’export del tessile-moda del settore italiano in Iran è stato pari a 16 milioni di euro, crescendo più del 27% rispetto al 2014. C’è un ampio margine di crescita e per questo abbiamo deciso di firmare il Memorandum of understanding con la nostra omologa iraniana”. I numeri danno ragione alle previsioni di Marenzi. Secondo i dati Ice (rintracciabili sul sito dell’ufficio dell’istituto per il commercio estero), nei primi due mesi del 2016 le importazioni di prodotti tessili e di abbigliamento italiani (inclusa pelle e pelliccia) in Iran sono aumentate rispettivamente del 178% e del 63 per cento. In realtà, come spesso accade ai nuovi mercati, le criticità sono pari alle potenzialità ed è il motivo per cui i brand italiani, e in particolar modo i big della moda, si stanno affacciando con cautela nel Paese: il Pil pro capite iraniano è pari alla metà di quello italiano, e sta vivendo una decisa crescita demografica. Attualmente si contano in Iran 77 milioni di abitanti, ma si prevede raggiungeranno i 100 milioni entro il 2050. Molti di loro sono giovani: circa metà degli abitanti ha sotto i 30 anni. Le difficoltà però sono molte, a partire “dalla inefficiente rete infrastrutturale di trasporti del Paese che però sta lentamente migliorando”, ha aggiunto Marenzi. Ma non è la sola criticità. I dazi sono in genere superiori al 50% e su alcuni beni, in particolare quelli alimentari, come segnalato da un recente report di Sace, possono arrivare al 65 per cento. Un elemento, questo, che ha contribuito al forte sviluppo del mercato grigio e coinvolge soprattutto i grandi marchi di lusso. Dall’ufficio Ice di Teheran spiegano come “il lusso arriva attraverso canali extra nazionali, ovvero Dubai, Los Angeles, San Francisco, Vancouver, Parigi e Marbella e i marchi di moda italiani sono ben conosciuti”. Il problema mercato grigio perciò è attualmente molto elevato. “Le importazioni iraniane sono caratterizzate da un alto tasso di ‘mancata registrazione in dogana’ – spiegano dall’ufficio Ice – a fronte di un import annuo registrato sceso a meno di 50 miliardi di dollari nel 2015, il governo stima che vi sia un import non registrato di circa 25-35 miliardi di dollari e, all’interno di questo ambito, le importazioni di prodotti di moda fanno la parte del leone”. C’è da ricordare poi che le sanzioni sono state congelate, non ancora eliminate del tutto. Si spiega così il ritardo da parte del mondo del lusso italiano che è approdato in Iran solo all’inizio di quest’anno. I primi ad aprire sono stati Versace e Roberto Cavalli che hanno inaugurato a Teheran, attraverso la società Kelid e Talaei (che gestisce la distribuzione dei due brand nella capitale). I due store si trovano in Alef Nord Street, a Zaferaniyeh, uno dei quartieri più eleganti e ricchi della capitale iraniana che ospita il jet set della città. Chi ha però scommesso in modo più convinto sull’Iran sono i marchi del segmento medio, nella prospettiva di soddisfare una domanda giovane. Tra chi ha tirato la volata c’è Benetton che è stato, insieme a Escada e Mango, tra i primi a entrare in Iran. Lo sbarco è avvenuto nel 2006 con l’apertura una filiale diretta. Una scelta in qualche modo naturale perché, secondo quanto riportato da un articolo de Il Sole 24 Ore dell’epoca, i golfini e le magliette di Benetton erano già ben conosciuti e venduti da negozi non ufficiali già dalla metà degli anni Novanta. Il gruppo conta su una rete di una trentina di negozi gestiti da imprenditori locali, che toccano in modo capillare il Paese: non solo Teheran, ma anche altre importanti città come Mashad, Tabriz, Shiraz e l’isola di Kish Island.
“Consolidare e valorizzare il brand con lo sviluppo della rete vendita, non solo nelle città principali, ma anche nei centri di seconda fascia, è l’obiettivo a breve termine di Benetton Group – ha precisato il gruppo a Pambianco Magazine -. Uno sviluppo commerciale che andrà di pari passo con l’introduzione, anche in questo mercato, del nuovo format di negozio On Canvas”. Dove porterà questo sviluppo? C’è anche chi ragiona sull’opportunità di una produzione locale, sebbene da Ponzano Veneto siano molto cauti sulla questione. È datato 2008 l’ingresso in Iran di Mango che ora conta sei store nel Paese nelle città di Teheran, Mashhad, Esfahan, Tabriz e Shiraz. “Abbiamo recentemente inaugurato un megastore nella capitale, di oltre 900 metri quadrati, dove sono presenti le linee donna, uomo e bambino”, hanno spiegato dall’azienda spagnola di fast fashion. Ma i progetti di Mango in Iran non si fermano qui. “Stiamo progettando l’apertura di altri tre punti vendita entro la fine di quest’anno o al massimo i primi mesi del prossimo a Teheran e Mashhad”. Al di là dei big, sono molti i marchi italiani di livello medio e medio alto che hanno messo piede nel Paese negli ultimi anni. Da Liu Jo a Luisa Spagnoli, da Geox a Furla, Boggi, Diesel, Marina Rinaldi, Carpisa, Yamamay e Piquadro. Tra gli ultimi nomi italiani a entrare nel mercato c’è Camicissima. Il marchio di camiceria che fa capo al gruppo Fenicia ha inaugurato a marzo il primo negozio monomarca a Teheran, all’interno del Mall Tiraje 2. Si tratta, spiegano dall’azienda, della prima di una serie di opening che riguarderanno questo mercato nei prossimi cinque anni: sono ben 20 le aperture programmate, nelle 20 principali città persiane. Con l’ingresso di nuovi player internazionali sul mercato iraniano, si sta moltiplicando anche l’offerta di mall e centri commerciali. Ai tradizionali (e pochi) nomi di punta della città, ovvero Sam Center, considerato il luxury mall della metropoli iraniana, e il Palladium mall, il centro commerciale più occidentale dell’area, si affiancheranno nei prosismi anni anche importanti progetti a Teheran e nelle altre città. Tra questi, il Persian gulf complex a Shiraz, Isfahan city center, un mega complesso nell’omonima città, il Teheran mall e l’Iran Mall di Tat Group nella zona ovest di Teheran.
di Milena Bello