Nei conti delle griffe emerge in modo chiaro lo spostamento dei consumi verso il Giappone. Colpa dell’effetto dollaro. Ma anche di un clima sociale che cambia.
“Deterioramento del business a Hong Kong”. C’è scritto così nelle comunicazioni di Ferragamo sull’ultimo trimestre dell’esercizio 2015. Il gruppo toscano è stato il più esplicito nell’identificare l’ex Colonia come il punto di maggior debolezza cinese, capace di cambiare l’equilibrio dei risultati sui principali mercati asiatici: al crollo della città, infatti, si contrappone un’accelerazione che non si vedeva da un decennio in Giappone (“+18% nel solo quarto trimestre”, scrive sempre Ferragamo). Andando a osservare le griffe che hanno presentato i risultati 2015, lo stesso trend ha caratterizzato l’anno dell’intero mondo del lusso (Cucinelli a parte, che ha ottenuto una crescita sia in Cina sia in Giappone, dove ha in atto un ridisegno della struttura). Tod’s ha registrato un calo del 12% nella Greater China, spiegando che si iniziano a vedere “timidi segnali di miglioramento nella mainland, mentre questo trend positivo non è ancora visibile in Hong Kong. Il Resto del mondo è cresciuto dell’11,8%, trainato dagli ottimi risultati del Giappone e della Corea”. Il gruppo Lvmh non ha fornito dettagli, ma ha denunciato un calo del 5% in “Asia (escluding Japan)” a fronte di un +13% in Giappone. Anche Prada, da un certo punto di vista il più orientale dei gruppi del lusso, nel senso che è quotato a Hong Kong, ha incassato (in questo caso nei nove mesi) un calo del 5,6% a cambi correnti nell’area Greater China in conseguenza di “una riduzione del consumo locale oltre che dei flussi turistici dalla Mainland China che ha impattato specialmente su Hong Kong e Macao, dove il declino è stato più evidente”.
EFFETTO CAMBIO. E PARANOIE
Secondo il recentissimo report ‘Chinese Luxury: The year of monkey business’ firmato da Exane Bnp Paribas, il fenomeno Hong Kong si spiega attraverso una doppia chiave di lettura. La prima riguarda la situazione in Cina, dove il quadro macroeconomico “non è previsto in miglioramento nel 2016”. Questo avrà un impatto sulle disponibilità di spesa della classe media “che è stata il principale driver del lusso negli anni recenti”. E impatterà soprattutto sullo shopping oltre frontiera. “Dovremmo vedere i consumi in Cina stabilizzarsi o crescere – scrive Exane – ma il contributo cinese agli acquisti internazionali è destinato a indebolirsi”. E qui subentra la seconda chiave di lettura. Per i cinesi, Hong Kong non è più la meta preferita dello shopping: “La forte rivalutazione del dollaro di Hk legato a quello americano – scrive Exane – rende la città più cara di Corea, Giappone ed Europa”. Il declino dello shopping turistico “non si arresterà”. In più, Hong Kong ha visto rompersi l’immagine di ‘isola felice’ con gli scontri di piazza del 2014. L’onda lunga non si è spenta: a inizio febbraio, si sono registrate nuove turbolenze di piazza. E questo alimenta la paranoia della città, che intravede il rischio del tramonto del modello “un Paese due sistemi”. Un insieme di fattori che rende più buio che mai il ‘porto profumato’.