Per la prossima stagione invernale non ci sono delle tendenze ben delineate. Le griffe puntano, sempre di più, ad affermare le proprie storie e specificità.
L’occhio del buyer è in continuo movimento, sempre pronto a scovare nuovi marchi e talenti, a osservare le ultime tendenze e a scoprire quando le tendenze non ci sono. Quelle maschili, infatti, per il prossimo autunno/ inverno 2016-17, non sono ben delineate. E, proprio questa mancanza di fattore-comune, sembra il fenomeno preponderante. Durante Pitti Immagine 89, ciò che è saltato all’occhio dei professionisti del settore è che “rispetto ad altri anni, in questa stagione non c’è un vero e proprio filo conduttore che sia comune alla gran parte dei brand – ha dichiarato a Pambianco Magazine Maurizio Purificato, co founder della boutique Antonia e creative director di Excelsior –. Ciò che si sta verificando, invece, è la tendenza di ciascun marchio ad affermarsi con un proprio stile e una propria identità, aldilà dei dettami della moda”. Una strategia che diverse aziende stanno iniziando ad attuare: le tendenze non sono più una legge incontrastabile cui bisogna far fede per avere un riscontro di pubblico. Sembra, più che altro, che oggi il successo si ottenga dando voce alle caratteristiche intrinseche di un marchio e valorizzandole. Anche Rosy Biffi, titolare dell’omonimo gruppo, è della stessa idea: “Risulta impossibile elencare tutte le tendenze per la prossima stagione invernale: si tratta di un ventaglio troppo ampio che, tuttavia, darà modo a ciascun marchio di comporre una collezione personale e in linea con la propria identità, senza stravolgerla. Si nota, aldilà dei trend, il ritorno di valori fondamentali come la qualità, il comfort e lo stile”.
La moda, non è una novità, è in continuo fermento. Il cambiamento è una costante e oggi, nell’era dei social network, è all’ordine del giorno. Il panorama è in continua evoluzione e per restare al passo è necessario essere continuamente aggiornati. Nel futuro, ciò che farà la differenza sarà l’idea creativa. “Appare sempre più chiaro – ha spiegato a Pambianco Magazine Vinicio Ravagnani, titolare del concept store Vinicio – quanto oggi conti l’idea e il fatto che si abbia qualcosa da dire. Negli ultimi anni si sono verificati dei fenomeni enormi nella moda, e solo perché dietro a un marchio c’era un concetto”. Purificato è sulla stessa linea d’onda: “La tendenza, nel futuro, sarà quella di creare una grande attesa intorno a un evento speciale per far sì che questo si traduca in ottimi risultati di vendita. Questo fatto si sta già verificando con le capsule collection: ad esempio, si è visto il fermento di pubblico, e i conseguenti risultati, delle Yeezy Boost di Adidas Originals disegnate da Kanye West. Nel futuro, addirittura, il buyer stesso andrà a collaborare con le griffe per creare delle capsule di successo”. Secondo Mario Dell’Oglio, presidente della Camera Italiana Buyer Moda, si andranno a delineare due filoni: “Da un lato ci saranno prodotti caratterizzati da uno stile innovativo, dall’altro modelli che siano di design e di buona fattura, oltre a portare in serbo delle idee”. E rispetto al futuro della professione di buyer, si aprono diversi scenari. Per Purificato si andranno a delineare due figure: “Ci saranno buying differenziati, uno per l’online e uno per l’offline. I grandi brand, già oggi, fanno budget diversi: noi di Antonia siamo partiti con l’online da sei mesi, e il rapporto d’investimento è 70% per l’offline e 30% per l’online”. Secondo Ravagnani, “il buyer, oggi, deve essere più tecnologico e informato e deve saper lavorare in team. Non si può più pensare come un tennista, ma bisogna lavorare come una squadra di calcio: la mia stessa azienda oggi è molto strutturata, non si tratta più di un buyer singolo, ma di un team che lavora in sinergia per un unico scopo”. Per Dell’Oglio, il ruolo del buyer sta diventando sempre più centrale. Oltre a essere un filtro di stile “ha la capacità di mischiare griffe dalle caratteristiche differenti: il consumatore è e sarà sempre più stimolato da un multibrand caratterizzato da un buon mix”. Quando si parla di social network, c’è chi sostiene siano un driver di scelta per la vendita di un prodotto, chi ne riconosce il valore come strumento di monitoraggio e chi non li ritiene più di tanto utili per il posizionamento. Le idee sembrano confuse o, quantomeno, ci sono diversi aspetti da valutare: “Sicuramente sono un importante strumento per tenere d’occhio ciò che succede nel mondo – ha commentato Dell’Oglio – ma sono cosciente del fatto che le vendite e, ad esempio, Instagram viaggino su due binari differenti. È facile e immediato mettere un like a una foto, ma ciò non significa che quelle stesse persone siano pronte all’acquisto: è una dinamica importante, ma è virtuale e non concreta”. Sul fronte opposto c’è Ravagnani: “I social network, così come i blog, sono un driver di scelta: possono fare il successo di un’azienda. Io stesso, utilizzandoli, ho conosciuto marchi e mi sono fatto conoscere. Quando inaugurerò il mio nuovo store a Novara, inviterò diversi blogger perché si riferiscono a un pubblico raffinato e dallo stile personale”. Per Purificato, invece, dipende dal posizionamento: “Creano un ritorno a livello di acquisto per marchi che si posizionano nel segmento young, non per griffe di alta gamma come quelle presenti da Antonia. Si riferiscono, infatti, a un consumatore medio e giovane che, di solito, non ha un grande potere d’acquisto”. Biffi, invece, li definisce come “uno strumento utile e immediato per informare e informarsi, per interagire in maniera istantanea con utenti e clienti. Instagram ha una funzione maggiormente di immagine e lifestyle, mentre Facebook entra in maniera più diretta e colloquiale in relazione con il pubblico”.
di Letizia Redaelli