Le statistiche indicano le svolte di Pil e fiducia. Ma, per la moda, più dei numeri conta la ritrovata capacità di attrazione. Una scommessa che parte da Milano.
L’Italia s’è desta. Anche se non significa necessariamente che si siano risvegliati gli italiani della moda, ossia aziende e consumatori. In questi mesi del 2015, sono arrivati numeri che indicano un cambio di rotta: previsioni sul Pil 2015 e rilevazioni sulla fiducia rivedono il segno positivo. C’è aria di ripresa, dunque. Per quanto da prendere col beneficio di inventario. Moda e lusso, infatti, confermano di essere dipendenti dall’estero. Una dipendenza che ha sostenuto il sistema negli ultimi anni. E che ha rivelato la propria fragilità in un 2015 in cui le tempeste macroeconomiche e valutarie hanno più volte alterato i mercati internazionali. Per contro, una dipendenza che non ha dimostrato particolare sensibilità all’effetto Expo: non è emerso in modo chiaro quanto la maggiore attrazione di visitatori garantita dall’esposizione abbia giocato in favore della moda. E di quale moda. Occorre capire quanto il motore internazionale continuerà a trainare il made in Italy. Ma, soprattutto, quanto l’Italy riuscirà a trainare se stessa. A cominciare da una Milano tornata capitale morale del Paese (come l’ha definirla Raffaele Cantone, capo dell’Authority anticorruzione), ma, soprattutto, tornata capitale della moda internazionale.
I NUMERI DEL RILANCIO
Dunque, l’Italia si scopre di nuovo in positivo. L’Istat ha rilevato che, a ottobre, il clima di fiducia dei consumatori è salito ai livelli massimi da 13 anni (dal febbraio del 2002), mentre quello delle imprese italiane invece ha segnato il record dal 2007 ed è stato in crescita per il terzo mese consecutivo. Negli stessi giorni, il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, durante la giornata mondiale del risparmio, ha annunciato che per quest’anno la crescita del Pil potrebbe sfiorare l’1%, rivedendole al rialzo rispetto alle ultime stime, diffuse a luglio, in cui l’istituto di via Nazionale prevedeva una crescita dello 0,7 per cento. Sul fronte fashion, valgono le ultime stime di settembre diffuse dalla Camera della moda: “Le previsioni per il 2015 sono positive con un fatturato che passa da 61,2 miliardi di euro nel 2014 a 64,2 miliardi di euro per il 2015 (+5 per cento)”.
LE OMBRE
A fronte dei proclami e delle statistiche sulla fiducia, è bene ricordare le ombre. Il primo semestre ha registrato più di un rallentamento nella parte alta del settore (il lusso quotato in Borsa). Mentre, se da un lato il 2015 ha registrato due quotazioni in Borsa (Ovs e Pt Torino), dall’altro continua a evidenziare situazioni di crisi significative: il caso Zucchi è emblematico di molteplici situazioni (chiusure, spostamenti, amministrazioni straordinarie) sparse lungo la filiera (specie nella filiera a monte), e rivela come il peso delle difficoltà degli scorsi anni sia ancora duro da digerire. Mentre prosegue lo shopping internazionale dei gioielli della manifattura nazionale. L’ultimo colpo è stato l’acquisto di due filature di Biella da parte della tedesca Südwolle.
CHI VINCE
Chi, dunque, vince nella eterogenea situazione della moda italiana? Fino a oggi, è risultata determinante la capacità di valorizzare il brand al punto da renderlo impermeabile a ogni uragano congiunturale. L’esempio più evidente lo rappresentano le divisioni italiane di griffe come Hermès, Tiffany, Rolex e Chanel, i cui conti hanno mantenuto un tasso di crescita invidiabile anche nel momento più nero dei consumi made in Italy. Ma il vero punto è: chi vincerà domani? Per creare un marchio serve identità. Serve una storia, certo. Ma la storia può essere anche quella, non necessariamente legata all’età, di valori e tradizioni di cui un marchio ha la capacità di appropriarsi. Ed ecco, dunque, il valore che si nasconde dietro alla fiducia respirata negli ultimi mesi nel mondo della moda: quello di aver riscoperto la capacità di attrazione del made in Italy. Un made in Italy fatto di prodotti, ma anche di luoghi ed eventi. La protagonista, mai come in questo caso, è Milano. La città, come evidenziato nel precedente numero di Pambianco Magazine, sta vivendo un rilancio senza precedenti. Ed è quasi incredibile come questo sia l’effetto di forze “quasi casuali”, cioè non coordinate, ma proprio per questo di maggiore valore. Allo stesso modo, è quasi impressionante quanto, negli effetti, si riesca poco a quantificare il peso di Expo sullo shopping. Significa che c’è altro. Ebbene, passeggiare a Milano è sufficiente, oggi, per respirare aria di ripresa. E qui che va ricercata la formula che potrebbe essere vincente nel futuro. Scommettere su un’immagine che non sia più solo del brand, ma che giochi sulla capacità di “accoglienza del brand”: food, vino, locali e iniziative di engagement.