L’Italia prova a fare la voce grossa in Europa per fronteggiare il veto sul Made in della Germania. E così il Consiglio Competitività Ue, che si è tenuto ieri a Bruxelles, si è concluso con un nulla di fatto per la proposta di regolamento che prevede l’obbligo di indicare il Paese di provenienza delle merci vendute nell’Eurozona. “Siamo in una fase di stallo”, ha dichiarato a conclusione dell’incontro il viceministro Carlo Calenda presente all’incontro in rappresentanza dell’Italia. “Non c’è una maggioranza a favore e neanche una maggioranza tale da far passare il pacchetto senza articolo 7 (quello che riporta l’indicazione obbligatoria di provenienza, ndr). Finché non si trova una soluzione per il Made in la proposta non va avanti. Le carte sono ancora tutte sul tavolo”. In sintesi all’incontro di ieri non si è raggiunto il voto sulla proposta. La Germania, insieme a tutto il fronte del no, ha messo un veto sull’articolo 7 e ha bocciato anche la proposta lettone (il Paese ha la presidenza dell’Unione europea) che prevedeva l’obbligatorietà solo per le calzature e la ceramica domestica, escludendo quindi tutti gli altri settori (ovvero tessile, legno-arredo e oreficeria). L’Italia e i cosiddetti “amici del Made in”, tra le fila dei quali è appena entrata anche la Polonia, ha scelto il muro contro muro. Dato che il voto è a maggioranza qualificata (servono il 55% dei membri del consiglio), nessuno dei due schieramenti è stato in grado di prevalere per sbloccare il negoziato e la decisione è stata posticipata a data da destinarsi.