Marta, 29 anni, coordina progetti editoriali per conto di una nota fondazione culturale milanese. Alle sei di sera lascia la redazione e corre in palestra, salta la corda, infila i guantoni e inizia a colpire il sacco. Fa la boxeur, da due anni milita tra gli agonisti: in carriera ha disputato otto incontri, vincendone cinque e perdendone tre, categoria 57 kg. Il più duro è stato il secondo, contro un’avversaria fisicamente molto forte: “Ne sono uscita con qualche livido e la faccia gonfia, ma poi tutto si supera“.
La noble art in passato era considerata una disciplina prettamente maschile. Già, in passato… Oggi, in Italia, tra gli amatori militano oltre millecinquecento donne, una ogni tre uomini. In quatttro hanno raggiunto il livello di professioniste. La Fip, federazione pugilistica nazionale, parla di “incremento esponenziale” delle quote rosa tra i 22mila tesserati effettivi, a cominciare dalle tre regioni che dettano legge sul ring: Lazio, Lombardia e Campania. Stanno arrivando anche i primi risultati internazionali. Lo testimoniano i successi dalla salernitana Marzia Davide, argento agli ultimi Mondiali in Corea del Sud e oro agli Europei in Ungheria, ma anche i bronzi iridati conquistati dalla veterana Terry Gordini, romagnola, e dalla giovane romana Alessia Mesiano. Intanto scalpita la grande promessa: si tratta di Irma Testa, sedicenne di Torre Annunziata (Napoli), che ha vinto l’argento lo scorso anno nelle Olimpiadi giovanili disputate in Cina e l’oro ai Mondiali juniores 2013.
Atleti in allenamento sul ring della palestra Ursus
Cosa le spinge a infilarsi i guantoni? L’autodifesa è un aspetto marginale. Marta, che si allena in una storica palestra milanese, la Ursus, dice di aver abbandonato l’atletica per abbracciare la boxe, alla ricerca di uno sport che le permettesse di mettersi alla prova, superando i propri limiti e apprendendo l’importanza della disciplina. Quello sport è il pugilato. È inevitabile che i successi raccolti a livello internazionale, anche tra gli uomini (è il caso di Clemente Russo detto “Tatanka”, campione mondiale 2013 dei pesi massimi tra i dilettanti), abbiano un impatto nel numero di adesioni a una disciplina sportiva. L’Italia, peraltro, ha sempre raccolto ottimi risultati nella boxe. Si tratta del quarto sport per numero di medaglie ottenute nella storia della nostra Nazionale alle Olimpiadi dopo atletica, ciclismo e scherma. Gli azzurri, nel medagliere pugilistico, sono stati superati soltanto dalla “scomparsa” Urss, da Usa, Cuba e Gran Bretagna. Lo scorso anno, i nostri boxeur hanno ottenuto 35 medaglie (di cui 11 ori) nelle varie competizioni internazionali, dagli Junior agli Elite.
La boxe, in Italia come negli Usa, è uno sport prevalentemente urbano. Lo dimostra la concentrazione nelle tre aree più densamente popolate del nostro Paese, quelle di Roma, Milano e Napoli, dove si trovano alcune delle scuole più prestigiose e storiche. All’ombra del Duomo, oltre alla “storica” Ursus, spiccano la “gloriosa” (e centralissima) Doria di via Mascagni, la Thunder Gym di via Mestre e l’Accademia Europea di via Melzo. A Roma la lista è lunga, da Audace a Indomita fino a Frontaloni Boxe. Un caso a parte è Marcianise, località di 40mila anime nel Casertano, che deve la propria fama sportiva al pugilato e ai tanti campioni usciti dalla sua palestra Excelsior Boxe, da Angelo Musone (bronzo a Los Angeles 1984) a “Tatanka” Russo. Ma torniamo a Milano.
Allenamento al sacco
“Qui dentro, comprendendo anche gli amatori, si allenano centinaia di persone tra boxe, thai boxe, kickboxing e mma (arti marziali miste). La metà fa pugilato tradizionale, le donne sono il 30% dei nostri atleti” afferma Francesco Cucinella, presidente di Boxe Ursus, fondata nel 1963. L’ingresso è da viale Umbria, si passa di fronte allo showroom di Jil Sander e in fondo alla stradina interna ecco il civico 36. Chi si illudesse di trovare un ambiente trendy, in linea con la riscoperta della boxe da parte dei media o della tendenza espressa attraverso brand di grido come Boxeur des Rues, Everlast o Lonsdale, resterebbe deluso. Palestra vecchio stampo, pavimentazione a parquet, ring sovrastato da un ventilatore a elica e da una gigantografia di Mohammed Ali, alcuni trofei in esposizione, ambiente impregnato dall’odor della fatica. “Il ritorno in auge della boxe è un fatto ormai consolidato – dice Cucinella, che ha un passato da pugile professionista nella categoria Superleggeri – perché ti permette di esprimere, attraverso le regole dello sport, una necessità dell’uomo: il contatto diretto con l’istinto, nell’ambito di una società diventata sempre più formale e sempre meno violenta. E poi c’è il fascino del passato, dei guantoni in pelle, dei grandi miti di questo sport”. Miti che il cinema ha contribuito a rendere immortali con pellicole diventate cult, da Rocky con Sylvester Stallone (esclusivamente la prima versione) a Cinderella Man con Russel Crowe, da Alì con Will Smith al capolavoro di Eastwood, quel Million Dollar Baby dedicato alla boxe femminile, che vinse quattro Oscar nel 2005. Ma il punto di riferimento resta sempre e soltanto uno: il miglior De Niro nei panni di Jake La Motta, Raging Bull (Toro Scatenato), regia di Martin Scorsese. Se le note della Cavalleria Rusticana di Mascagni, che furono la colonna sonora del film, si sposano a questa boxe ancor più che i versi di rapper quali Eminem, 2Pac e 50 Cent, non c’è da sorprendersi: siamo a Milano, non nei bassifondi della periferia americana. La boxe qui è praticata da studenti universitari, professionisti talvolta in carriera, persone che cercano motivazioni più che riscatto sociale. “Il campione – sottolinea Cucinella – viene fuori sempre dal ceto medio. Chi sta ai vertici della scala sociale è troppo ben abituato per affrontare certi sacrifici; più in basso invece si trovano situazioni di estremo disagio che non aiutano. Il segreto di questo sport non è la furia, è la continuità“.
Capita allora, alla Ursus, di ascoltare storie di pugilato agonistico come quelle raccontate da Fabio Elia, 23 anni, dodici incontri alle spalle con sei vittorie, che da pochi mesi ha incorniciato la laurea triennale in Belle Arti conseguita all’Accademia di Brera. Si sta allenando duramente per il prossimo incontro, che si terrà il 21 dicembre a Magenta, categoria 60 kg. “Manco dal ring da un anno e mezzo, nel frattempo ho trovato la fidanzata e mi sono dovuto laureare, non c’era il tempo necessario per preparare al meglio un combattimento. Quando vuoi andare sul ring, l’allenamento deve essere la tua priorità. Ora che la storia con la mia ragazza è stabile, posso dedicarmici come si deve”. Quanto andrai avanti? “Dipende, se troverò un lavoro probabilmente non avrò più tempo. Non si vive di boxe, perchè non siamo pagati per combattere. Per me il pugilato è passione, fascino, dedizione e assoluta concentrazione. E poi c’è una sportività infinita nella boxe, perché essere scorretti con l’avversario significherebbe mentire a se stessi”. La paura di finire al tappeto, di farsi male, quanto pesa? “Ognuno la vive alla propria maniera. Per me è come la paura del buio: c’è prima di salire sul ring, poi suona la campanella, si accendono le luci e diventa subito emozione”. E se poi capita di uscirne con l’occhio nero? “Anche quello ha il suo fascino, con le donne, o no?”.
Francesco Cucinella (a destra), presidente di Ursus
Il fascino dell’occhio nero, tuttavia, può valere soltanto per l’uomo. “Una donna col volto tumefatto sarebbe osservata con un certo sospetto” riconosce Marta, che dalla boxe ha imparato tanto: consapevolezza di se stessa, dei propri mezzi, rispetto e gratitudine per i suoi maestri. “Ci tengo a nominarli, Angelo Pomè e Giuseppe Quagliarella: sono uomini straordinari, spesso ho il dubbio di non essere in grado di far capire loro quanto sono grata per gli insegnamenti che mi offrono”. L’autorevolezza di un maestro diventa il punto di riferimento psicologico del pugile durante il match. Se lui ha deciso che puoi combattere, lo ha fatto perchè sa che sei in grado di affrontare quell’incontro. La sua presenza all’angolo del ring è motivo di conforto, è la certezza di non affrontare da soli il peso e il dolore della sfida. “Mi ha insegnato – continua Marta – a conoscere le mie forze, a dosarle, a utilizzare l’intelligenza nel combattimento: se voglio mettere il colpo a segno devo farlo con convinzione, altrimenti meglio evitare. Infine, entrare in questa palestra mi ha permesso di conoscere alcuni degli amici più cari che ho”. Lo stile di vita? Mangiare sano e con regolarità, dormire tanto e bene.
Oggi Marta è la veterana tra le agoniste della Ursus, ma altre due ragazze stanno preparando il loro primo incontro. “Le donne sono brave, dedite e volonterose. Credo che ne avremo sempre di più qui da noi” conclude Cucinella, che però sconsiglia la boxe come mezzo per autodifesa. “Un malvivente innervosito rappresenta un pericolo anche per gli uomini, a maggior ragione lo sarà per le donne. Pensare di difendersi tirando cazzotti non mi pare una buona soluzione”. Ci sono però le eccezioni. “Ne hanno scritto anche i giornali: due mesi fa, una mia cara amica era stata aggredita in zona Corvetto e ha tirato sette schioppi in faccia a un marocchino, che quando è arrivata la polizia si è consegnato molto volentieri per sfuggire a quella furia. Ma aveva quaranta incontri ufficiali e dodici anni di allenamento alle spalle”. L’aggressore, peraltro di corporatura esile, non avrebbe potuto individuare un cliente peggiore…
Ursus, palestra old style, fondata nel 1963