La cerca inizia alle prime luci dell’alba. Le colline di San Miniato, tra Firenze e Pisa, sono terreno fertile per il Bianco pregiato, il re dei tartufi. Gianpiero Montanelli, 48 anni, tartufaio con la passione ereditata dal padre, sale in fuoristrada e passa a prelevare il fido compagno Biagio, naso sopraffino ed energia travolgente. Che sia il momento tanto atteso, il ‘fido’ lo intuisce dall’abbigliamento del padrone: pantalone mimetico e scarpone idrorepellente per l’uomo significano caccia alla trifola per il cane.
Biagio ha due anni, è un bastardino. “La razza ideale da tartufi sarebbe il Lagotto romagnolo, io però preferisco addestrare il meticcio perché è più curioso e ha una genetica forte, tende ad ammalarsi meno”, spiega il tartufaio. Il terzo del gruppo sono io. La mia totale estraneità dall’avventura che sta per iniziare appare evidente fin dalle scarpe: ai piedi porto un paio di stivaletti, che stanno al bosco come i bermuda stanno a una Prima della Scala.
Gianpiero parcheggia l’auto e fa scendere Biagio, che punta dritto verso la base di un leccio: con la quercia, il salice e il pioppo, quell’albero costituisce l’habitat ideale del prezioso tubero. Il tartufaio si è messo in tasca una parte del bottino raccolto il giorno prima, per esigenze fotografiche: vuoi vedere che proprio oggi, con giornalista al seguito, restiamo a bocca asciutta? E io cosa fotografo?
Il precedente gioca a nostro sfavore. La prima volta che incontrai Montanelli successe un autentico dramma. Era il 2012, anno sfigatissimo per i tartufai (non se ne trovava mezzo), e la città di San Miniato aveva organizzato un press day per la sua famosa fiera internazionale del tartufo bianco, scegliendo Gianpiero quale “dimostratore” della cerca. Si era portato un paio di palline al profumo di tubero, interrate poche ore prima, per far vedere come i cani riescono a scovarle, quando la troupe della Tv svizzera pretese un tartufo vero, non una messinscena, perché ai telespettatori mica puoi far vedere il ritrovamento di una pallina! L’unico disponibile era stato affidato al ristorante Villa Sonnino, in previsione del pranzo riservato alla stampa, così il tartufaio lo requisisce e lo sotterra tra mille accortezze… fu allora che il cane, ritrovandolo, se ne mangiò una buona metà! Gli svizzeri rischiarono il linciaggio da parte degli altri colleghi e lo chef dovette fare di necessità virtù, tra lo sconforto dei presenti.
Mentre ce la ridiamo ricordando quel precedente, Biagio smentisce i nostri timori. Dopo due minuti passati ad annusare il terreno, si blocca e inizia a scavare come un forsennato. Gianpiero capisce e interviene, giusto in tempo. Allontana il cane gettando via un po’ di terra (poi Biagio tornerà a reclamare la ricompensa, che consiste in un pezzettino di pane), avvia con delicatezza la perlustrazione, compare la sfera tanto attesa. Stavolta è quella vera. Prende il vanghetto e inizia a delimitarla dal terreno. “Ci vuole rispetto per l’ambiente – mi racconta mentre completa l’opera – pertanto non possiamo utilizzare strumenti dal diametro eccessivo, altrimenti roviniamo i filamenti che a occhio non si vedono, ma sono proprio quelli a far vivere il tartufo in simbiosi con il leccio e le altre piante da cui dipendono. Quegli stessi filamenti, se non si troncano, possono dare più tartufi nello stesso anno”. Nel frattempo inizia a diluviare e le mie scarpe non sono affatto contente… Finito il lavoro, la estrae. È il Bianco, il primo della giornata. Poi un altro, un altro ancora… alla fine saranno cinque. Biagio fa un discreto lavoro, il bottino finale è di 181 grammi, certificati dal bilancino elettronico. Economicamente parlando, per un listino che oscilla quest’anno tra i 1.500 e i 1.800 euro al chilo, siamo sui 250-300 euro al cliente finale. Gianpiero però vende ai commercianti, che poi lo distribuiscono tra ristoranti e negozi di pregio, così si deve accontentare della metà.
Per quanto uno possa essere abile e fortunato, non si vive di soli tartufi. Infatti, Montanelli lavora all’Asl, dipartimento educazione alla salute. Caccia solitamente di pomeriggio, perché alla mattina deve spiegare ai ragazzi le conseguenze di una vita troppo spericolata. “Ci vado tutti i giorni, è un modo per ricaricare le pile e per stare a contatto con la natura, assieme ai miei tre cani. Biagio è giovane, ma promette bene, prima o poi lo faccio riprodurre, vero Biagino?”. C’è chi li castra, i maschi da tartufo, per evitare che siano sviati da altri odori, ma Gianpiero non ci pensa nemmeno: gli sta bene così.
I tartufai sono una razza (umana) tutt’altro che in estinzione. A San Miniato se ne contano circa 400 iscritti alla locale associazione, circa trecento di loro sono in piena attività. Il più bravo? Va a stagione. Quest’anno, racconta Montanelli, è toccato a Fiorenzo Carmignani, che a fine ottobre ne ha trovato uno da 880 grammi, una pepita d’oro. Il record personale del “nostro” tartufaio risale invece al terribile 2012, quando nel deserto più totale riuscì a fare bingo con una trifola da 440 grammi. Nulla a confronto, certamente, con il record storico fatto segnare nel lontano 26 ottobre del 1954 da Arturo Gallerini detto “il Bego”, che grazie al cane Parigi portò alla luce una “bomba” da 2,520 kg. Lo diede a un commerciante di Alba, Giacomo Morra, che ne fece dono al presidente statunitense Dwight D. Eisenhower. Storie d’altri tempi, anche se, quando si parla di tartufi, le prove sono più che necessarie. “Mai fidarsi del tartufaio – mi dice Montanelli, tornando a casa per le ultime operazioni della giornata – perché questo è un mondo dove nessuno tu dice niente e, soprattutto, dove la verità non la saprai mai”. Biagio acconsente e scodinzola, io guardo i miei stivaletti e scuoto la testa: sono inzuppati fino alla caviglia. Se li è presi il Dio dei tartufi.
DIECI SEGRETI CHE CONVIENE CONOSCERE
(PRIMA DI ANDARE A TARTUFI)
- Per quanto possa sembrarvi secco, il bosco richiede un adeguato abbigliamento.
- Mai partire in assenza di luna: le probabilità di successo scendono drammaticamente.
- Il picco della produzione? Si ha (probabilmente) dal plenilunio ai cinque giorni successivi.
- La stagione a San Miniato inizia il 10 settembre e termina il 31 dicembre. I migliori arrivano da metà ottobre alla fine di novembre.
- Il tartufaio li vende, ma se li consuma lo fa nella maniera più tradizionale: tagliolino olio e tartufo o a scaglie sull’uovo fritto.
- Per insaporire tutto ciò che deve sapere di tartufo c’è uno stratagemma geniale: mettere per tre giorni il prezioso tubero in una pentola a pressione, ben chiusa, con il resto degli alimenti, uova comprese, e lasciare in frigorifero. L’aroma si impossesserà di tutto, penetrando perfino attraverso il guscio delle uova.
- Il tartufo, una volta acquistato, va consumato entro 15 giorni al massimo. Va conservato in frigorifero, parte bassa, avvolto in un foglio di carta casa, che occorre cambiare ogni due giorni. C’è chi lo tiene nel riso, ma non è la modalità corretta, perché il tartufo tende a disidratarsi.
- Volete l’olio al tartufo? Fatevelo in casa, con il tartufo fresco tagliato a scaglie, perché quello che acquistate alle sagre o al supermercato è spesso di derivazione chimica.
- Il tartufaio, prima di utilizzarlo, lo lava sotto acqua corrente con uno spazzolino da denti. Apprezza il tartufo, non i rimasugli di terra.
- Per servirlo, tagliarlo al momento con l’apposito taglia-tartufi regolabile in base allo spessore desiderato.