Tutti di foglie vestiti. Non si parla delle foglie d’autunno, che cadono dagli alberi in questo periodo, né dei ricami effetto natura che piacciono a molti stilisti, ma di quelle di marijuana. In attesa del via libera su vasta scala della cannabis indica (una particolare specie della pianta) per scopi terapeutici, in Italia è boom nella coltivazione della canapa, meglio detta cannabis sativa che dal punto di vista botanico è una sua parente stretta. Si parla di un aumento del 150% dei terreni coltivati nel 2014 rispetto all’anno precedente a scopo tessile, edile o cosmetico. È quanto emerso dal primo studio sulle potenzialità economiche e occupazionali della coltivazione, trasformazione e distribuzione della qualità adatta all’uso terapeutico, presentato al Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione di Cernobbio.
Per chi sogna di andarsene in giro per i ‘verdi campi’ e farsi dei viaggi psichedelici, sarà davvero l’era dello sdoganamento dello spinello? Non è esattamente così. E’ vero che la pianta di canna (facile l’associazione tra cannabis e il gergale ‘canna’) è la stessa pianta di marijuana, identificata sin dagli anni Trenta del secolo scorso, in una dura campagna mediatica americana, come droga da combattere e proibire. Ma, a quei tempi, gli Stati Uniti avevano bisogno di radicalizzare lo scontro col nemico Messico, accusato di essere un fornitore dello stupefacente: ed ecco la genesi ispanica del nome. E la generalizzazione del concetto: cannabis uguale marijuana uguale droga.
Nella realtà, le distinzioni da fare sono diverse. Innanzi tutto, c’è canapa e canapa. E, soprattutto, attraverso gli incroci sembra sia stato possibile agire sulla presenza delle sostanze (anche qui, il vituperato Thc, Tetraidrocannabinolo) che hanno effetti psicoattivi. Sostanze che possono rendere la canapa un rilassante, un elemento terapeutico e, oltre certi livelli di ‘relax’, uno stupefacente.
Sia come sia, adesso sembra prevalere l’effetto business. Coldiretti spiega che nel 2014 sono raddoppiate le aziende agricole coinvolte nella semina, che dalle 150 del 2013 sono passate a circa 300 quest’anno, con il conseguente aumento degli ettari coltivati in Italia, diventati circa mille dai 400 del 2013. I campi di canapa fanno capolino dalla Puglia al Piemonte, dal Veneto alla Basilicata, ma anche in Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna. Una sorta di invasione, insomma, spinta dalle “opportunità di mercato che offre questa coltivazione particolarmente versatile”, sottolinea la principale organizzazione degli imprenditori agricoli a livello nazionale ed europeo. Da questa attività, infatti, si ottengono tessuti, materiali edili, come gli eco-mattoni di canapa da utilizzare nella bioedilizia, ma anche olio, vernici, saponi, cere, cosmetici, detersivi, carta o imballaggi, e pellet per il riscaldamento.
Si tratta, in tutti i casi, di prodotti ‘puliti’ e dunque amici dell’ambiente e della persona. In particolare, vestirsi di canapa vuole dire stare freschi d’estate e al caldo d’inverno, nel rispetto della natura. Non stupisce, dunque, che molte griffe stiano iniziando ad utilizzare sempre di più questa materia per le proprie collezioni, come ha fatto per esempio Etro, che nella collezione uomo P/E 2015 ha ‘cucinato’ abiti da mangiare per promuovere la biodiversità, fatti di bambù, ortica e, appunto, canapa.
Senza salire sulle passerelle, basta fare una piccola ricerca su internet per scoprire che esistono tante realtà in Italia che promuovono l’uso di questa fibra per usi diversi, compreso l’abbigliamento. Uno di questi è Bottega della Canapa, la prima catena di negozi presente sul mercato nazionale italiano interamente dedicata alla canapa, che propone una gamma di prodotti certificati derivati dalla produzione artigianale della pianta, dalla cosmesi naturale, fino ad abbigliamento, borse e accessori. Ci sono anche la fiorentina Campo di Canapa, nata nel 2000, e Fatti di Canapa, che commercializza i suoi prodotti in tutta Italia e all’estero, ad Atene, a Vienna e in Giappone.
In realtà, come rileva Coldiretti, questo fenomeno non è altro che un ritorno alle origini, perché questa coltivazione è stata più che familiare in Italia fino agli anni 40, tanto che il Belpaese è stata il secondo maggior produttore di canapa al mondo con quasi 100mila ettari, dietro soltanto all’Unione Sovietica. Il declino è arrivato con la progressiva industrializzazione e l’avvento del boom economico, che ha imposto sul mercato le fibre sintetiche, oltre che con la campagna internazionale contro gli stupefacenti che ha gettato un’ombra su questa pianta.
Oggi, sono in molti a chiedere un quadro legislativo meno rigido sul tema, anche sfruttando il clima di legalizzazione delle sostanze stupefacenti per scopi terapeutici. Del resto, gli anziani raccontano che la canapa veniva chiamata “il maiale vegetale”. Non si gettava niente. E dopo che la pianta veniva spolpata, macinata e lavorata, i resti servivano per alimentare il fuoco. Era di fronte a quei camini che le fantasie prendevano il volo e cominciavano i ‘viaggi’ dei nonni.