Nel resto del mondo, l’esclusività è potersi permettere un abito su misura. Negli Emirati Arabi Uniti è farsi realizzare un completo maschile. Rigorosamente sartoriale, direttamente nella patria dell’eleganza, ovvero in Italia, ma senza doversi spostare. Si sa, nel Paese dei petrodollari anche il lusso esibito nei mall, dove trovano casa tutte o quasi le più sfavillanti maison al mondo, comincia a stare un po’ stretto ai plurimilionari sceicchi mediorientali. Così molti di loro, compresi alcuni membri della famiglia reale degli Emirati Arabi Uniti, hanno aggiunto una nuova meta ai loro itinerari da shopping. Il nuovo nome sulla bocca di quelli che contano si chiama Bespoke Italia e, più che un’etichetta sartoriale, si tratta della riproposizione aggiornata, in regioni nate pressoché dal nulla poco più di trent’anni fa, della vecchia tradizione europea del laboratorio sartoriale dove il gentiluomo andava a farsi cucire ‘l’abito buono’. Dietro al progetto c’è Abdallah Bin Desmal Al Suwaidi. Amante del ben vestire e della scuola sartoriale napoletana, dopo aver studiato le differenze tra il made to measure preconfezionato e il bespoke sartoriale e aver visitato in lungo e in largo lo Stivale, nel 2011 decide di portare nel cuore di Abu Dhabi un pezzo di Italia.
Il concetto alla base di Bespoke Italia è semplice: il cliente arriva, sceglie il tipo di tessuto, il colore e le caratteristiche dell’abito selezionandolo all’interno di un bouquet di pezze da tessuto rigorosamente italiane. Dopo aver preso le misure, tutte le informazioni vengono inviate in Italia nella rete di laboratori dove abili sarte cuciono a mano l’abito per la prima prova. Il modello arriva poi direttamente nello showroom di Abu Dhabi per gli adeguamenti necessari, e vola di nuovo a Napoli per la finitura. Il tutto in 30 giorni nel caso in cui vada a buon fine la prima prova, arco di tempo che può estendersi se si rende necessaria una seconda prova, con buona pace della serrata battaglia ambientale contro le emissioni inquinanti dei trasporti aerei.
Il progetto è sicuramente esclusivo ed efficiente, ma in controtendenza con la moda del chilometro zero che ha contagiato anche il fashion. “Non avrebbe avuto senso portare ad Abu Dhabi la manodopera artigianale perché è il tessuto tradizionale campano a fare la differenza, è una cultura che non si può esportare”, ha raccontato Ennio Collaro, unico italiano all’interno dello showroom.
Campano verace, con una lunga esperienza nel mondo sartoriale e strappato alla concorrenza partenopea nel 2011 per ricoprire il ruolo di general manager, Collaro è il fil rouge che lega Medio Oriente e Italia. “Seguo il cliente, rigorosamente vip, dall’inizio alla fine – ha raccontato in collegamento Skype mentre passeggia all’interno del lussuoso punto vendita – perché spesso quel che ancora manca a buona parte della clientela, qui come in altre parti del mondo, è un background sullo stile”.
D’altro canto, l’universo formale è piuttosto recente in un Paese dove l’abito tradizionale è ancora il vestito d’ordinanza nelle occasioni quotidiane. “Nel nostro spazio arrivano spesso anche personaggi di rilievo appartenenti alla famiglia reale. In generale, i clienti mi chiedono consigli, do qualche dritta sugli outfit, sulle giuste lunghezze e le proporzioni corrette. E tengo i contatti con i nostri artigiani napoletani. Parliamo la stessa lingua e non solo dal punto di vista prettamente semantico”, ha aggiunto.
Dal formalwear il raggio d’azione si sta ampliando anche al ready to wear. “Polo, jeans, tutto prodotto in Italia perché ormai questo progetto è diventato un marchio e comincia ad avere una sua autonomia. Abbiamo in cantiere un nuovo showroom a Dubai. Ed entro fine anno avremo la nostra sartoria a Napoli. Allora sì che Bespoke Italia sarà tricolore al 100%”.