Chi non ricorda i tatuaggi all’henné sfoggiati da Madonna nel famoso videoclip per la canzone Frozen?
Correva l’anno 1998 e la popstar era in piena fase kabbalah, la passione per le decorazioni mehndi esplose in tutto il mondo. Ma le comunità indiane non apprezzarono molto il dilagare degli ornamenti legati alla proprie tradizioni storiche. I tattoo, infatti, erano ridotti a mero body make-up senza tener conto degli importanti riferimenti culturali.
Riproporre elementi legati a usi e costumi della storia di una popolazione è un’attività piuttosto frequente nel mondo dello spettacolo, ma anche la moda ha più volte attinto a simboli di derivazione antropologica o religiosa. Niente a che vedere con le tendenze comunemente definite “etniche”: maxi dress, frange, collanine colorate e borse ricamate fanno parte di un immaginario che spesso ingloba indistintamente hippie e nativi americani. Un calderone confuso che ha poco in comune con i luxury brand propensi invece a interpretare con maggior precisione le proprie fonti di ispirazione.
Per la collezione pre-fall 2011 di Chanel, il direttore artistico Karl Lagerfeld non ha nascosto di aver guardato ai famosi mosaici bizantini per impreziosire abiti e accessori. La collezione pre-fall 2014 è stata invece presentata in un ranch texano e ha visto sfilare mantelle frangiate e piume tra i capelli abbinate alle famose borse con la doppia C. Anche la collezione maschile autunno-inverno 2014 di Donatella Versace gioca sull’antico conflitto tra indiani e cowboy. Oltre a speroni e spille da sceriffo, la passerella è stata un tripudio di camicie stampate con pellerossa al galoppo.
Le modelle scelte da Riccardo Tisci per le creazioni Givenchy Haute Couture 2012 indossavano vistosi gioielli tribali: maxi orecchini e anelli al naso con diamanti e cristalli incastonati. Durante il lungo incarico da Christian Dior, lo stilista inglese John Galliano ha trasformato le sue sfilate in veri e propri show con omaggi stilistici che spaziavano dalle geishe giapponesi ai guerrieri medievali. Casi che hanno segnato il ritorno di fogge lontane rese contemporanee dall’estro creativo dei designer; forme, tagli e abbinamenti rivivono una seconda vita nel rispetto delle civiltà che le hanno originate.
Ultimamente, però, c’è stato chi non ha saputo rendere al meglio le proprie intenzioni. L’istrionica Anna Dello Russo, editor at large di Vogue Japan e idolo dei fashion victim, ha suscitato l’indignazione di molti follower dopo aver condiviso sul proprio profilo Instagram cinque scatti che la ritraggono con un tradizionale copricapo indio sulle coste di Ibiza. È indubbio che l’accessorio sia stato sdoganato durante le feste di carnevale, ma molti utenti hanno accusato Dello Russo di ignorare il significato spirituale del copricapo destinato esclusivamente ai membri maschili delle tribù americane. La fashion editor è comunque in buona compagnia: nel 2012 Victoria Secret’s ha chiesto scusa per aver mandato in passerella la modella Karlie Kloss con il medesimo accessorio piumato abbinato a succinta biancheria intima. E, lo scorso luglio, il produttore Pharrell Williams si è detto “genuinamente dispiaciuto” per averne indossato uno sulla cover di Elle Uk. In ultimo, anche il magazine MarieClaire Australia ha specificato di non aver commissionato, ma solo pubblicato una foto della top model Gemma Ward con il mento colorato da tatuaggi maori. In seguito alle proteste di un accademico, il giornale ha chiesto scusa alle popolazioni indigene incolpando però lo stilista Jean Paul Gaultier avendo tratto lo scatto dalla sua campagna pubblicitaria del 2007.
Nonostante Frozen sia diventata una hit mondiale, non tutti hanno fatto tesoro degli errori commessi da Miss Ciccone.