Ne è passato di tempo da quando, fra gli anni 30 e 40 dello scorso secolo, la Settima Arte da Hollywood tirava le fila non solo dello show business, ma anche del giro della moda fino a dettare tendenze e stili di vita che finirono per soppiantare i diktat dell’alta moda trasformando all’occasione i couturiers in costumisti (fra gli altri Chanel e Schiaparelli che vestirono per il set rispettivamente Gloria Swanson e Mae West). Oggi, quel testimone di fucina dei grandi filoni del costume è passato alla fiction, ovvero alle grandi serie televisive (come Sex and the city, Gossip Girl, Boardwalk Empire, Downton Abbey e molte altre). La fiction, secondo gli ambienti accademici d’Oltreoceano, per la qualità e la ricercatezza non solo dei plot, ma anche delle scenografie e dei costumi di scena, ha finito per imporre la sua sovranità assoluta di grande medium sociale dell’era digitale.
In realtà, il boom dei serial dresser ha avuto dei precedenti negli anni 80. Valentino disegnò gli abiti di scena destinati a Joan Collins per la serie ‘Peccati’, Gianni Versace vestì Don Johnson in Miami Vice mentre Nolan Miller divenne quasi più famoso di Dior con il fastoso guardaroba del set di Dinasty. Abiti ridondanti di lustrini, silhouette a farfalla, grandi cappelli ad ampie falde, tailleur dalla vita strizzata, colori carichi: l’ora del powerdressing era scattata anche sul piccolo schermo per la gioia di manager d’assalto e casalinghe inquiete.
Il connubio fra glamour e piccolo schermo, ormai divenuto un cinema fra le mura domestiche, si perpetua oggi con serial come Game of Thrones che sembra aver ispirato l’ultima collezione per l’inverno 2015 di Dolce&Gabbana, gremita di abiti-corazza o Scandal in cui una tosta e sensuale Kerry Washington nei panni di un ‘principe del foro’ legato all’Fbi, protegge il presidente degli Stati Uniti dai veleni di palazzo e da altre trame oscure. I suoi tailleur body conscious e i suoi tubini drappeggiati, supersexy ma molto easy, hanno ispirato anche le donne dall’esiguo portafoglio che pur di somigliarle sono disposte a diete crudeli e liposuzioni efferate.
La vera novità è il serial Selfie che già dal titolo evoca il link con i social media: il telefilm trae il nome dallo scatto eseguito con lo smartphone e destinato a essere condiviso sulle piattaforme dei new media. La protagonista Eliza Dooley vive in una dimensione dominata dalla preoccupazione ossessiva di comunicare con un pubblico virtuale, quello della rete, piuttosto che con persone reali, con l’obiettivo di acquisire celebrità, una patologia oggi dilagante soprattutto fra le giovani generazioni. La figura di Eliza è liberamente ispirata all’opera Pigmalione da cui fu tratto negli anni 50 il film My fair lady con una Audrey Hepburn, magnificamente abbigliata con i costumi disegnati da Edith Head. E’ palese anche qui un nesso inequivocabile con il mondo della moda, stavolta filtrato dalla rete.
Non è un mistero per nessuno che, dopo il successo planetario di Sex and The City, dovuto soprattutto al suo styling, Patricia Field è diventata un riferimento tra gli addetti ai lavori. Un altro caso che fa scuola in passerella e nelle vetrine, soprattutto per la svolta rétro delle ultime stagioni, è Mad men. Anche qui il merito spetta in parte a un altro nuovo ‘oracolo di stile’, la giovane costume maker Janie Bryant che ha sicuramente condizionato il revival late Fifties, evidente negli ultimi modelli di Raf Simons per Dior e di Donatella Versace, nell’estetica curvy influenzata dall’attrice Christina Hendricks mutuata anche dal prossimo Calendario Pirelli, nonché nell’ultima mostra del Met dedicata a Charles James. Neppure la felice collaborazione di Miuccia Prada con Catherine Martin per il guardaroba di scena del remake cinematografico de Il Grande Gatsby con Carey Mulligan è riuscita a invertire il mainstream di questa prima decade del XXI secolo: i serial televisivi sono più popolari e stylish delle pellicole cinematografiche. E questo per una serie di ragioni, non ultime quelle economiche e di costume.