“Halal (lecito) o haram (illecito), questo è il dilemma.” E invece, no. Nessun richiamo al dubbio amletico dell’essere. Perché i musulmani hanno le idee chiare. Specialmente in tema di food. Parola d’ordine è halal ovvero consentito dal Corano. Che recita: “O uomini, mangiate ciò che è lecito e buono”.
Allah ha donato chiare indicazioni su cosa è lecito consumare e cosa no. E gli islamici, ovviamente, eseguono.
Ma se l’halal, per caso o per sfortuna, si mischia con l’haram? Scoppia lo scandalo. Il fulmine si è scagliato lo scorso maggio nel ciel sereno della Malesia, sul cioccolataio Cadbury. Dopo che i suoi cioccolatini al latte sono risultati positivi a un test sulla presenza di tracce di carne suina. Pietanza che, insieme all’alcol, ai musulmani non è concessa. E così la fabbrica di cioccolato ha ritirato dagli scaffali due noti prodotti: il Dairy Milk Chocolate alla nocciola, e Dairy Milk Chocolate alle mandorle.
Notizia che ha generato scalpore. Specie online. Ma non solo. Diversi i gruppi di consumatori infervorati che hanno addirittura esortato una chiusura degli impianti dell’azienda dolciaria, in portafoglio alla multinazionale britannica Mondelez International. E poi le autorità. Anche loro si sono date da fare dando il via a un lungo ciclo di test. La Malesia, peraltro, Paese di maggioranza islamica, all’Expo 2015 approderà nei Padiglioni di Milano proprio per esaltare l’alta qualità del suo halal attraverso il tema “Verso un ecosistema alimentare sostenibile”. Sul piatto, oltre che cibi, halal e di alta qualità – che sono alla base dell’economia del Paese – anche la sua ricca eredità culturale.
Non si scherza, insomma. Pena, la scivolata costata cara al colosso pasticciere nato a Birmingham. Ma il rompicapo vale per molte aziende, a cominciare dai colossi Nestle e Unilever. Il problema è la mancanza di standard unificati. Che le espone al rischio di considerare halal cibi invece non consentiti. E fa muro al nascente business.
Giappone e Australia, in testa ai Paesi che stanno saltando sul carro per incontrare i bisogni dei viaggiatori islamici. Ma anche Dubai. E non si tira indietro di certo il Belpaese. Che, si sa, ama sperimentare, innovare e ibridare, con stile. Questione di business. O di tendenza. Certo è che in Italia l’halal si fa spazio. E a Milano non risparmia nessuna nicchia di mercato. Settore moda incluso. Al giugno 2013 risale il lancio dei “Ramadan”, i cioccolatini “islamici” firmati Armani. Priva di derivati alcolici, con guscio di cioccolato al latte e ripieno di frutta secca e miele, la pralina ha reso omaggio ai tradizionali 30 giorni di digiuno “ordinati” dalla fede islamica.
E poi, sempre nella capitale italiana della moda, il cibo islamico è entrato nei menu di sette tra i più prestigiosi ristoranti. I quali, lo scorso gennaio, hanno aderito all’iniziativa ”Piatto solidale”: il progetto lanciato dall’associazione City Angels. Per ogni piatto solidale ordinato, due euro del costo della pietanza sono devoluti all’associazione che da anni si occupa di aiutare i clochard milanesi. I ristoranti meneghini hanno inserito nel menu la propria ricetta “contro la violenza”, e quindi senza carne animale, nel rispetto delle diverse tradizioni religiose.
Non una ricetta qualsiasi, dunque, ma elaborata dai migliori chef e con caratteristiche specifiche: vegetariana, sana, halal e kosher, ovvero lecita per gli ebrei.
Tra le etichette di prestigio, spicca sicuramente Giannino. Il ristorante che dal lontano 1899 è punto di ritrovo della borghesia milanese e di personaggi illustri, nonché tana di chef di fama mondiale come Davide Oldani, propone “Spaghettoni al cipollotto fresco”. Un piatto legato alla città meneghina, ma ricco di storia e di profumi del sud che riportano alle umili origini dell’Italia contadina.
Gli fa eco il ristorante Acanto dell’Hotel Principe di Savoia. Che sigla lo scrigno di pasta fillo con caponata di verdure stagionali, maggiorana e taleggio dop Val Taleggio, servito con fonduta di pomodoro e scalogno.
È firmata dallo chef Marco Offidani, la ricetta “Orto Botanico” del ristorante Rubacuori del 5 stelle luxury in via Concordia, Hotel Château Monfort. A base di carote e sedano, daikon e patate è perfetto per gli halal-victim.
C’è chi poi opera di fantasia. Come “il blog delle seconde generazioni”, YallaItalia.it, che nei paccheri all’amatriciana, sostituisce la pancetta di maiale con la coda di rospo. E perché mai privare i musulmani della carbonara, se la si può condire con il petto d’oca?