C’è il cinema, certo. E lo sport, le serie tv, la birra con gli amici. Ma è un altro il passatempo preferito per i ‘giovani d’oggi’: riempire e svuotare i carrelli sui siti di e-commerce, senza passare alla cassa. La generazione di nati tra gli anni Ottanta e i primi anni Duemila ha un minimo comune denominatore: in tema di acquisti ritiene più importante lasciarsi ispirare. E condividere quelle ispirazioni sui social. Per acquistare, invece, c’è tempo. Generazione dei Millennials, Generazione Y, Generazione Next o addirittura Net Generation. In qualsiasi modo la si voglia definire, è certo che stia rivoluzionando il tradizionale modo di intendere i consumi.
La scena è questa: letto, computer sulle gambe, un paio di siti di riferimento e via con l’aggiunta sconsiderata di oggetti al carrello. Uno dei siti di e-commerce più famosi, per dire, di recente ha introdotto anche il pulsante ‘Dream Box’, praticamente una deliberata istigazione a sognare (e basta).
Uno studio recente condotto da Intelligence Group e pubblicato da Wwd li definisce ‘fauxsumers’, una crasi che sta più o meno per ‘falsi consumatori’. La ricerca, condotta su un campione di 1.300 Millennials, sbatte in faccia alle aziende di moda di tutto il mondo una scomoda verità: le famigerate wishlist, redatte scrupolosamente per mandarle agli amici o, semplicemente, “per divertimento”, non sono finalizzate all’acquisto. Tra i capi selezionati, addirittura, capita spesso di includere quelli che mai ci si potrà permettere.
Ci sono oggetti (una meravigliosa borsa di Céline, per dire) che hanno probabilmente ispirato migliaia di click sul tasto “add to cart”, click consapevoli di un acquisto impossibile. Come se vedere quella borsa in wishlist regali la stessa soddisfazione che comprarla realmente. La borsa infine rimane lì, ma il ricordo resta (quasi) quello dell’acquisto tanto sognato.
Si spiega così il successo di piattaforme come Pinterest e Tumblr, due community che mettono alla portata di tutti uno shopping che non ha bisogno di carta di credito, ma soltanto di una buona dose di ispirazione. Basta scegliere immagini di capi e accessori ‘giusti’, un colpo di mouse, e la scelta è condivisa con tutti i contatti. Semplice, immediato e, soprattutto, senza costi aggiuntivi se non quelli di una connessione a internet.
La generazione del millennio, le cui condizioni economiche sono peggiorate tanto da far segnare uno tra i tassi di disoccupazione più alti della storia recente, ha fatto di necessità virtù. Per esprimere la propria idea di sé, i propri gusti e lo stile che più li rappresenta, ha trovato la strada per non dipendere dal denaro.
Uno scenario preoccupante per le aziende di tutto il mondo, considerato che si stima che i Millennials rappresentino all’incirca 2 dei 7,1 miliardi di persone che abitano il pianeta. Difficile, dunque, minimizzare il fenomeno e interpretarlo come mera ‘moda’ del momento. La scommessa, per alimentare il business della moda, è portare i giovani “from browsers to buyers”, dai motori di ricerca al consumo. Le basi perché questo accada paiono essere solide, ma serve un colpo di reni da parte degli stessi brand nell’accorgersi del cambiamento.
Una ricerca firmata Accenture, per esempio, ha messo in luce come, nonostante siano affascinati dall’atto compulsivo che si risolve nel binomio riempire/svuotare il carrello, i Millennials preferiscono ancora andare in negozio quando si tratta di acquistare. Ma una volta arrivati in camerino, l’esperienza che ne hanno diventa fondamentale. L’ha capito prima di tutti Karl Lagerfeld. Il ‘kaiser’ della moda ha attrezzato i suoi negozi di iPad con cui fotografarsi durante la prova degli abiti. In un attimo, l’immagine è già su Instagram o Facebook, pronta a fare il giro delle bacheche di amici e conoscenti. Certo, non vuol dire che poi quegli abiti verranno acquistati, ma un primo passo in quella direzione è fatto. Il dialogo è instaurato. Intanto, i carrelli online continuano a traboccare di vestiti che i Millennials non indosseranno mai, ma che su internet sono così belli.