Il mondo delle idee e quello delle cose potrebbero essere riuniti in un’unica sfera, con buona pace di Platone. Così, il mondo della creatività e della moda indossata potrebbero essere riuniti in un mouse, con buona pace di stilisti amanti di ago e filo. A scalfire le convinzioni dell’antico filosofo e dei creativi contemporanei sono arrivate le tecnologie 3D, da tempo utilizzate nei settori dell’automotive e dell’aerospaziale, e che oggi promettono di cambiare non soltanto il processo di creazione che sta dietro alla moda, ma anche le abitudini dei consumatori finali.
Dal palco di 3DExcite, il summit tedesco dedicato alle applicazioni di visualizzazione 3D professionale tenutosi a Monaco qualche settimana fa, gli speech di aziende come Coach e Vans suonavano come una sorta di ‘poi non dite che non ve l’avevamo detto’. Tra quelli ad ascoltare all’Olympiapark di Monaco, si è registrata una presenza capillare della moda (anche Bottega Veneta e Gucci). “Soltanto un paio di anni fa il fashion diceva che non era pronto per le nuove tecnologie. Poi, però, ha visto i risultati in altri ambiti ed è tornato sui propri passi. E quando la moda dice ‘sì’, va al doppio della velocità degli altri”, spiega a Mood Monica Menghini, executive vice president corporate strategy di Dassault Systèmes, la multinazionale francese specializzata in soluzioni 3D, di fatto padrona di casa, visto che l’organizzatore Rtt, è una società di recente acquisita dal gruppo transalpino.
A far dire ‘sì’ all’utilizzo delle nuove tecnologie sono state due necessità: la riduzione dei tempi e il contenimento dei costi. Le aziende si sono accorte che l’utilizzo dei software 3D accorciava del 20-50% la catena produttiva e abbatteva i costi di produzione dei prototipi nell’ordine, si dice, di milioni di dollari.
Ma i milioni, nella moda, non (sempre) sono tutto. Ottenuto l’appoggio delle aziende, infatti, ricevere quello degli stilisti è stata impresa più ardua. “Alcuni dei creativi sono spaventati. In molti, soprattutto nell’haute couture, credono che la tecnologia possa danneggiare il processo creativo e renda i vestiti meno speciali o unici”, racconta Susanne Olivier, anch’essa vice president nonché colonna portante del FashionLab di Dassault Systèmes, un incubatore tecnologico appositamente dedicato agli stilisti che vogliono o sono spinti a realizzare intere collezioni con le tecnologie 3D.
La sua istituzione, all’incirca un paio di anni fa, è coincisa con il crescente interesse delle aziende a fronte, però, di una riluttanza dai centri creativi. “Il momento più bello – prosegue Olivier sorridendo – è quello in cui il creativo mette alla prova le tecnologie e si rende conto che non danneggiano né la sua originalità né l’alta qualità del prodotto. Anzi, le potenziano”.
Le tecnologie 3D, però, non mirano a supportare le aziende del lusso soltanto nella creazione di un prodotto, ma anche a valle del processo creativo, e in particolare nell’incontro con il consumatore. I software di visualizzazione tridimensionale, insomma, si preparano a cambiare sia il modo in cui i prodotti del fashion e dell’arredamento vengono progettati, sia come sono venduti.
Un’immagine 3D può essere utilizzata per il marketing (basti pensare che la maggior parte delle campagne pubblicitarie più recenti nel settore automobilistico sono costruite sulla base di immagini 3D, mesi prima che l’auto venga lanciata o addirittura messa in produzione) e nelle vendite. A Pechino e Londra, per esempio, esistono già showroom virtuali di Audi dove il cliente può scegliere il colore e gli accessori perfetti dell’auto dei sogni su uno schermo di visualizzazione in 3D.
La moda, industria della customizzazione, dell’aspirazione e dell’esperienza per eccellenza, non può che seguire a ruota ciò che nell’automotive accade già da qualche anno. In futuro, i clienti potrebbero fermarsi davanti a degli schermi virtuali che, grazie a dei body scanner, misureranno il loro fisico e creeranno l’outfit perfetto senza bisogno che il capo sia effettivamente disponibile in negozio. Prima di lasciare lo store, visualizzeranno come gli sta e effettueranno l’acquisto con un clic all’interno del camerino virtuale.
Per esempio Coach, l’azienda americana del lusso, si sta lanciando nello shopping a tre dimensioni, grazie allo sviluppo di app in grado di rendere anche i materiali più complessi, dalle pelle di animali agli inserti metallici un tempo così difficili da sembrare reali su uno schermo. Vans, un altro colosso americano degli accessori, sviluppa le proprie calzature a partire esattamente da quelle tecnologie che producono un’esperienza di visualizzazione così aderente alla realtà da rendere superflua la presenza di un prototipo fisico.
“Il processo creativo – tiene a specificare Olivier – continuerà a esistere, naturalmente. Ma a cambiare sarà il modo in cui un’idea sarà tradotta in un prodotto per il mass market”. Insomma, l’immaginazione – quella facoltà di kantiana memoria che da sempre agisce da ponte tra i lampi di genio e la loro effettiva realizzazione – potrebbe essere rimpiazzata da un procedimento virtuale. Le idee e gli oggetti, con buona pace di Platone, sono destinate a far parte di un unico mondo, quello del 3D.