Lo stile irriverente dell’avanguardia gay oggi in auge nell’arte, nella moda e nel costume è sempre più parte del mainstream perché le sue propaggini sono entrate nello spirito della nostra epoca a tutti i livelli tagliando i ponti con l’oscurantismo del passato. Viaggio nella nuova queer generation.
Nonostante la crisi il mondo è sempre più rosa e non solo in passerella. Il genere è ormai solo un’illusione perché a prescindere da come ti vesti, se con panni maschili o femminili, è sempre e solo una questione di modernità e non solo di gusti sessuali. Benvenuti nel variopinto mondo ‘queer’ (letteralmente ‘eccentrico’), la nuova identità fluida fonte di un’estetica trasversale di matrice gay friendly. Questa sancisce il trionfo in pedana di transgender come Lea T., musa di Riccardo Tisci per Givenchy e di Philippe Plein la cui campagna estiva 2013 ruotava intorno a due gemelli colti in romantiche effusioni. L’ambiguità è molto apprezzata nei casting delle sfilate: lo conferma il successo di Casey Legler, artista e atleta, la prima donna a firmare un contratto per il dipartimento maschile di un’agenzia di modelli, e Andrej Pejic, ragazzo dalla indefinibile sessualità, uno dei preferiti nelle sfilate di Jean Paul Gaultier. L’enfant terrible della couture francese negli anni 80 ha lanciato la gonna per uomo e poi il make up per lui. La moda di Gaultier è una provocazione, ha ispirato indirettamente anche le nuove collezioni cross dressing presentate a Londra da Astrid Andersen e J.W. Anderson (che collabora anche con Versus Versace) ma riecheggia anche la stravaganza dei costumi di Liberace. Un’icona gay ante litteram prima di Madonna, Lady Gaga ed Elton John che torna in auge come protagonista di una patinata monografia e di ‘Behind the candelabra’, un biopic prodotto dalla Hbo. In questa pellicola appena presentata a Cannes Liberace è magistralmente interpretato da Michael Douglas, affiancato da un biondo Matt Damon, nel ruolo di Scott Thorson, compagno del musicista.
Il regista, Steven Soderbergh, ha diretto anche ‘Effetti collaterali’ imperniato sulla relazione saffica fra Rooney Mara, star androgina di ‘Uomini che odiano le donne’ e Catherine Zeta-Jones, che si cala nei panni di una psicanalista. Non è un caso se poco dopo l’uscita nelle sale di questo film, sotto i riflettori della Croisette è arrivata Lea Seydoux in un altro film premiato con la palma d’oro e tanto per rimanere in tema, con torride scene lesbo: ‘La vie d’Adèle’ diretto da Abdellatif Kechiche che probabilmente sarà il film dell’anno. Con la benedizione forse di Karl Lagerfeld che, durante le roventi polemiche sulla legalizzazione delle nozze gay in Francia, ha dato il ben servito ai benpensanti mandando in passerella a Parigi una coppia di raffinatissime spose in pizzo prezioso firmate Chanel couture con tanto di pargolo al seguito. E se il sex symbol Matthew McConaughey recita nei panni di un malato terminale di Aids, ruolo per il quale è dimagrito oltre 10 chili, James Franco ha portato a Berlino e al festival Mix di Milano il suo trasgressivo documentario ‘Interior. Leather Bar.’ In cui ricostruisce le scene più osé, ben 40 minuti di pellicola tagliata, dal film ‘Cruising’ del 1980, ambientato nei club gay sadomaso di New York. “Per me il sesso può essere uno strumento narrativo -dice Franco nel film- e deve essere raccontato con la libertà tipica dei gay, che oggi con le loro rivendicazioni sulla famiglia stanno perdendo un po’ l’identità che ha cambiato anche i valori del mondo etero”. Sempre nella Grande Mela Valerie Steele, storica della moda senza peli sulla lingua, sta preparando la mostra ‘Queer Style. From the closet to the catwalk’ di cui è curatrice. “L’esposizione -spiega Steele- approfondisce il legame fra l’identità gay della maggior parte degli stilisti e la loro creatività e comunica un messaggio di libertà espressiva soprattutto alle nuove generazioni; non tutti sanno che Horst e Cecil Beaton erano segretamente gay”.
Fu Yves Saint Laurent a sdoganare fra i primi i suoi gusti sessuali nella moda, senza contare Gianni Versace, che in anticipo sui tempi presentò a Chicago una collezione sado maso davvero dirompente. Oggi si può dire che quella rivoluzione è compiuta. Lo confermano i modelli maschili firmati DSquared2, Gucci e Frankie Morello ma anche le nuove creazioni di Thom Browne, Alexander McQueen, e Hedi Slimane, tornato alla ribalta al timone stilistico di Saint Laurent dopo aver sovvertito i canoni del guardaroba maschile con Dior Homme. L’esposizione della Steele aprirà i battenti a settembre durante la fashion week della Grande Mela nelle sale del Museo del Costume del Fashion Institute of Technology, la scuola dove si è formato un altro dei paladini di questa estetica: Tom Ford, regista di ‘A single man’ e stilista considerato unanimemente icona del sexy chic, cresciuto nel glamour della New York anni 70. Era l’epoca dello Studio 54 e della disco music (vedi primo box). L’ex top model Jerry Hall che ha rivelato di aver appreso a camminare in pedana da una drag queen, frequentava la discoteca di Steve Rubell. Nel suo privè si davano appuntamento ospiti ricchi e famosi: da Diane Von Furstenberg a Liza Minnelli, Marisa Berenson e Amanda Lear che festeggia 40 anni di carriera, passando per Bianca Jagger e il gotha della moda: Valentino e Halston. Fino a Grace Jones, che tornerà presto in auge con un nuovo album ricco di canzoni inedite e un tour mondiale. Un altro testimone di quella vibrante stagione fu Andy Warhol. Nei ritratti in bianco e nero di Richard Avedon scorrono i personaggi della Factory: dal trans Candy Darling fino a Gerard Malanga e Joe Dallesandro, musa borderline dell’artista americano nei suoi film underground. Era anche l’epoca di Keith Haring e di Antonio Lopez, l’elegante illustratore amico di Anna Piaggi e infine pure di Guy Bourdin. Oggi in quella stessa New York il Meatpacking District, un tempo mecca della movida queer più trasgressiva, è la meta privilegiata dei fan di Comme des Garçons e dei lettori della rivista ‘Candy’, interamente dedicata all’identità polisessuale o ‘fluida’ (leggi queer) e ai suoi protagonisti. “La sensibilità gay oggi è un elegante equilibrio fra la virilità e il nostro lato femminile; quando ero a New York alla fine degli anni 70 conobbi molti artisti e stilisti come Calvin Klein che proprio come me si dividevano fra Manhattan e il magico resort di Fire Island, dove potevamo essere finalmente noi stessi”, racconta il fotografo Tom Bianchi, autore del bel volume fotografico ‘Fire Island Pines Polaroids. 1975-1983’ edito da Damiani. “La nuova via per affrontare quest’epoca così complessa è essere insieme teneri e decisi senza pregiudizi, cioè naturali”, conclude l’autore. Per questo forse il paradigma gay basato su anticonformismo e contaminazione dei sessi ha messo radici anche nel compassato mondo borghese.
Di Enrico Maria Albamonte