Sportswear sartoriale di nuova generazione: questo il mantra ecumenico del menswear visto in passerella fra Milano, Londra e Parigi. Con accenti femminili e neo-dandy e soprattutto l’eco di un rock sempre più indignato, rivangando le note della rivoluzione della moda maschile anni settanta e ottanta.
Un nuovo intreccio di virilità e trasgressione definisce una figura maschile alternativa, alla ricerca di autenticità e vita sana all’aria aperta in sconfinati paesaggi nordici. Un uomo autentico, romantico e impetuoso, consapevole delle sue emozioni che non reprime ma che anzi manifesta anche nel look. Come Joaquin Phoenix in “Her”, quando il colore del suo guardaroba di scena scandisce gli stati d’animo di uomo sensibile e in crisi d’identità che, deluso da una donna, si invaghisce della calda voce di un sistema operativo. Per il prossimo inverno, la ‘musica’ è cambiata: la dissonanza che attinge alla dirompente iconoclastia del rock di ieri e di oggi compone l’identikit di un uomo incline al gioco e al colore, ma anche tormentato e irrequieto, come i seguaci di “Jackson Pollock e gli irascibili” in mostra a Milano o come il gentleman di Prada. Che la cravatta la usa solo annodata al collo come una sciarpina, e con la maglia sexy a maniche corte rifà il verso a Helmut Berger ne “La caduta degli dei” di Visconti. è un introverso patologico che non si fa mancare nessun lusso: dal gilet imperioso in pelliccia che svela bicipiti da fight club fino agli stivali. Abbinato alla donna in pedana che ricorda Gudrun Landgrebe in “Interno berlinese” di Liliana Cavani o Liza Minnelli in “Cabaret” fa un effetto decadente e intellettuale. Ma, a dispetto dei suoi cappottini double impalpabili e delle camicie di crêpe de chine color petrolio, quando dai suoi smanicati svela braccia toniche appare testosteronico come il macho parisien e di Riccardo Tisci. Chez Givenchy il brillante couturier pugliese usa la stessa scenografia di Prada -una grande gabbia scura- ma con rimandi diversi dalla stilista milanese: non più la letteratura ma l’activewear street di gran lusso, ispirato a un campo da basket e alla Bauhaus, e ricorda Vincent Cassel ne “L’odio” di Mathieu Kassowitz.
Non è un uomo da mezze misure quello che ha sfilato nelle capitali della moda: si diceva dell’inesorabile influsso del rock. Ebbene qui a lasciare il segno è l’estetica slim dei bad boys di alto rango indie rock vestiti Saint Laurent by Hedi Slimane con chiodo bicolore, pantaloni sottili, scarpe dorate: piaceranno a Jared Leto. Musicista e attore, al Festival del Cinema di Roma si è presentato con capelli lunghissimi in completo Balmain nero pece -altra grande tendenza del menswear per il prossimo inverno- dividendosi fra il palco dei suoi concerti e i set di film in odore di Oscar. Come “Dallas Buyers Club” diretto da Jean-Marc Vallée che si è aggiudicato 6 nomination. Con l’ambiguità del ruolo che interpreta nel film, il transessuale lucciola Rayon coprotagonista della pellicola insieme a Matthew McConaughey, Leto rappresenta perfettamente l’immagine maschile ambigua emersa dalle passerelle.
Un uomo femminilizzato e rilassato che non disdegna velluti stampati o in colori pastello (Brioni, Canali), twin-set (Jil Sander), stampe caleidoscopiche(Issey Miyake Men), montoni a vestaglia (Roberto Cavalli) in omaggio a Jacques De Bascher, dandy degli anni 70 amato da Yves Saint Laurent. Molto in voga i cappotti tre quarti perché slanciano e fanno giovane e cool (Burberry Prorsum), i pantaloni che riducono l’orlo sopra la caviglia per esibire il calzino operato (Antonio Marras), il bomber lucido marziale con proporzioni over (Calvin Klein Collection, Kenzo). E’ un uomo che sfida l’establishment con un dress code agli antipodi di quello degli squali della finanza. Il doppiopetto non manca di certo nel suo armadio ma perde ogni connotazione da executive per trasformarsi in un archetipo di sensualità bohémienne e dannata. Per Dior Homme è lucido come il raso, per Salvatore Ferragamo si porta sbarazzino, senza camicia, da Dolce & Gabbana si esibisce rigato e pennellato sul corpo con un raffinato divertissement che alterna velluto e raso in omaggio al look dei ‘pavoni’ della Savile Row anni 70.
Il rock di Elvis e di Iggy Pop ma anche il country choc di John Voight in “Un uomo da marciapiede” galvanizzano il cowboy urbano di Donatella Versace che, in barba ai pregiudizi, persegue un affrancamento definitivo da ogni convenzione sociale e sessuale. L’iconografia è quella ridondante dei costumi di Elton John e dei gay club con un retrogusto Teddy Boy fra chaps ricamati di festoni d’oro, blouson investiti da un diluvio di cristalli, fantasie bandana da byker di lusso e preziosi perizomi in cuoio dotati di “conchiglia- cache sex” mutuata forse dalla divisa dei giocatori di football americano, immortalati negli scatti erotici di Rick Day. D’altra parte nelle ultime collezioni maschili il mondo camp è ubiquo: il pelliccione di coyote verde militare disegnato da Hamish Morrow per Dirk Bikkembergs e quello di Caruso in volpe abbinato al completo formale tre pezzi color burro ricordano gli abiti di scena di Matt Damon in “Dietro i candelabri” di Steven Soderbergh. Da Gucci Frida Giannini rende omaggio a Nureyev nei ritratti di David Bailey degli anni’70 in cui sfoggiava un berretto da nostromo. Certi pull a collo alto in cui il tricot diventa pelliccia come quelli di Fendi fanno pensare al poeta Allen Ginsberg mentre i completi con giacca dalle maniche raglan e il gilet coordinato da country gentleman di Giorgio Armani ricordano David Leavitt, romanziere minimalista. Il nuovo charme abita qui.