È ancora strage nelle fabbriche del Bangladesh. Un incendio scoppiato nei giorni scorsi nel reparto maglieria di una fabbrica della Aswad Composite Mills Ltd, del gruppo Pall Mall, alla periferia di Dacca, ha provocato, secondo quanto risulta dal bilancio provvisorio, almeno 10 vittime e 50 feriti. Le fiamme, secondo alcune fonti, potrebbero essere state alimentate anche dalla presenza di prodotti chimici stoccati in un magazzino.
La tragedia arriva sei mesi dopo la morte di oltre mille lavoratori nel crollo, a Dacca, del Rana Plaza, il palazzo di otto piani dove, nonostante i segni di cedimento strutturale segnalati nei giorni precedenti, gli operai erano comunque andati al lavoro.
Si riaccendono dunque i riflettori su un Paese che produce abbigliamento ‘low cost’ per le grandi catene internazionali, e dove i salari ammontano a meno di 40 dollari al mese. Solo nell’ultimo anno, dallo scorso novembre, in diverse zone del Bangladesh si sono ripetuti una serie di incidenti, incendi e crolli in fabbriche tessili, che hanno causato centinaia di vittime. Una serie di episodi che ha messo il Paese al centro dello sdegno internazionale, motivo per il quale molte aziende di moda hanno deciso di spostare la loro produzione in altre zone, dove la situazione non è necessariamente più felice, ma che hanno il merito di essere (per il momento) fuori dall’occhio del ciclone.
Una tendenza che è confermata dai numeri: il Bangladesh, che sulla carta è il secondo esportatore mondiale di abbigliamento con un giro d’affari annuo di 20 miliardi di dollari, anche grazie al costo della mano d’opera più basso del mondo, ha visto negli ultimi tempi un crollo delle esportazioni. Secondo le previsioni dell’Asian Development bank (Adb), riportate da Modaes.es, l’export di prodotti di abbigliamento bengalesi sta crescendo solamente del 7% nell’anno fiscale in corso, che si concluderà a giugno 2014, un ritmo molto al di sotto delle aspettative del governo bengalese, che aveva previsto un aumento delle vendite all’estero del 12,3 per cento.