L’annuncio dell’acquisizione di Loro Piana da parte del gruppo francese del lusso Lvmh è stato dato a Borse chiuse, verso le 18 di ieri pomeriggio lunedì 8 luglio. Come fosse una notizia price sensitive qualunque, da tenere ferma lì per qualche minuto, per non disturbare i mercati. Non era passata che una manciata di ore dal titolo in prima pagina del Corriere economia, in cui Brunello Cucinelli, uno tra i più in voga tra gli imprenditori del lusso, dichiarava: “Non siamo un Paese in vendita”. Non erano passati che un paio di giorni dalla sprezzante uscita di un altro big del lusso nazionale, Giorgio Armani, che commentava l’acquisizione della caffetteria Cova come “si tratta solo di cioccolatini”. Non erano passati che un paio di mesi da quando il “sistema” della moda italiana aveva proclamato la volontà, infine, di fare, anzi di essere, per davvero sistema, portando al vertice della Camera nazionale della moda alcuni di quei nomi che sempre ne erano rimasti ai margini. Proprio tra i consiglieri di quella “nuova” Camera di sistema, un posto è stato riservato a Sergio Loro Piana, uno dei due fratelli – l’altro, Pier Luigi, è presidente di Milano Unica – che hanno deciso di vendere la maggioranza della storica azienda di famiglia per 2 miliardi di euro. Per “il bene dell’azienda”, hanno ripetuto. “Ci hanno detto bravi perché siamo rimasti”. Certo, ma al 20%, e con un’opzione put (cioè, di vendita) nel giro di tre anni.
L’annuncio dell’acquisizione di Loro Piana, dunque, ha cancellato una lunga serie di ipocrisie nei confronti di ciò che da almeno un decennio è la strada imboccata dal made in Italy. Il sistema nazionale – leggi, le istituzioni pubbliche – si diletta a lanciare iniziative con aeromobili che portano in giro i circensi del made in Italy, o a lanciare nuove iniziative fieristiche a Milano (l’ennesima esposizione), tirando la volata a un imprenditore di mirtilli bergamasco, dopo essere rimaste assenti (il sindaco Giuliano Piasapia) all’intera settimana delle sfilate. E mentre in questo si impegnano, il made in Italy cambia bandiera.
Detto questo, l’acquisizione di Loro Piana segna un cambio di passo rispetto al precedente shopping in terra nazionale dei gruppi d’Oltralpe. A parte i multipli – negli ultimi tempi riconosciuti e pagati dai soli arabi del Qatar per Valentino – va evidenziato come il marchio biellese rappresenti l’intera catena produttiva del lusso. È tra i primi produttori nazionali di tessuti e filati. Forse, il primo a livello mondiale per volumi e qualità. E, in parallelo, ha valorizzato il proprio marchio nell’abbigliamento che ha saputo distribuire attraverso una rete propria di negozi in ogni angolo del pianeta. È, dunque, un benchmark della filiera. È ciò che dovrebbe essere un’ideale filiera del lusso made in Italy.
Ebbene, quest’ultimo aspetto consente l’osservazione più cruda e paradossale. Certo, ti portano via le aziende. Ma è giusto riconoscere che gli acquirenti francesi hanno la capacità di valorizzare le opportunità nascoste nella filiera del made in Italy. Lvmh, come i cugini di Ppr, hanno dimostrato di essere capaci di ottenere il massimo dagli ormai numerosi marchi italiani acquisiti, esattamente comprendendo l’importanza di quel sistema territoriale e culturale in cui i marchi erano nati e si nutrivano.
È triste riconoscerlo. Soprattutto quando per costruire un’azienda sono servite sei generazioni.
David Pambianco