Chiusura degli stabilimenti di Ginosa e Matera, ridimensionamento del sito di Matera Jesce e avvio delle procedure di mobilità per 1.726 addetti “per salvaguardare la posizione di 2.789 lavoratori, di cui 1.449 interni e 1.340 nell’indotto”.
È un primo anticipo del piano industriale che è stato elaborato dalla Natuzzi di Santeramo (Ba) per tentare di risollevare le sorti dell’azienda che produce salotti. Le misure, previste per tornare al pareggio di bilancio nel 2016 e all’utile tra il 2017 e il 2018, hanno fatto scattare ulteriori proteste tra i lavoratori che però sono tornati in fabbrica, almeno fino a oggi, quando le parti, convocate dal ministero dello Sviluppo Economico, si rivedono a Roma per discutere ancora. Al più tardi, le sorti di Natuzzi potrebbero delinearsi lunedì, quando a Bari, nella sede dell’assessorato regionale al Lavoro, i sindacati esamineranno il da farsi alla luce delle conclusioni del vertice romano.
Il piano industriale proposto lunedì nella sede di Confindustria a Roma dall’azienda di divani e complementi d’arredo è stato duramente contestato da sindacati e lavoratori che lo definiscono “irresponsabile e totalmente inaccettabile”. Da parte sua, il patron del marchio di arredamento Pasquale Natuzzi ribadisce l’impossibilità di muoversi altrimenti per salvare il gruppo (in rosso da anni, per 26 milioni nel solo 2012, su un fatturato di 465, e sei già nel primo trimestre di quest’anno). E denuncia la concorrenza sleale di aziende cinesi, un sistema di imprese che per anni ha prodotto gli stessi divani utilizzando i lavoratori in cassa integrazione di Natuzzi e a costi di produzione abbassati. Lo stesso Natuzzi sul Corriere della Sera e su Libero tira in ballo anche i nomi di “Calia, Chateu d’Ax, Poltrone e Sofà”, parlando di un sistema che ha dato spazio a produzioni di contoterzisti realizzate a costi fuori mercato.
Chi conosce l’azienda, però, dice che anche l’imprenditore ha commesso i suoi errori. C’è chi sostiene che avrebbe dovuto organizzare il ciclo produttivo in maniera meno integrata e più flessibile, che avrebbe dovuto curare di più l’efficienza e che forse ha esagerato ad aprire 300 negozi in tutto il mondo.
La vertenza Natuzzi, comunque, è a una svolta: nonostante dall’azienda giurino di non avere intenzione di delocalizzare la produzione, soprattutto quella dei prodotti di alta gamma, resta il fatto che a fronte delle due chiusure italiane, al piano industriale sono invece sopravvissuti i tre stabilimenti esteri, uno in Romania, l’altro in Cina e l’ultimo in Brasile.