Sali e scendi dal tram, raggiungi la location della sfilata, fai public relation con la gente che conta. Ma sempre, rigorosamente, con la testa china su uno schermo. Anche i fashion addicted e gli addetti ai lavori non possono fare a meno di tenere il naso all’ingiù, soprattutto durante la Milano Moda Uomo che si chiude oggi. Il look del fashion blogger di turno, il buffet offerto alla fine di certi defilè, tutto deve andare in rete, categoricamente. Figli della tecnologia o schiavi del web che dir si voglia, pochi scampano a questa frenetica pratica, il gusto di rendere pubblica ogni cosa, anche quella più segreta e ‘riservata’. E così ai piedi della Madonnina si muovono tanti piccoli Julian Assange in marcia compatta da una passerella all’altra, con smartphone alla mano e occhio basso. E ci è mancato poco che il fondatore di Wikileaks non comparisse anche in passerella. In compenso si è visto stampato sulle T-shirts di Vivienne Westwood la faccia di Bradley Manning, il militare informatico e attivista statunitense accusato di aver passato ad Assange una serie di documenti confidenziali. Ma gli echi digitali si ritrovano anche altrove, per esempio da Emporio Armani, dove spariscono fodere e bottoni, sostituite da zip e automatici, e dove piccoli fori laserati creano motivi di codici. O da Diesel Black Gold, dove il parka e il bomber sfidano il futuro tra elementi botanici e motivi floreali jacquard, riducendo tutto al minimo. Nella lotta cui la moda stagionalmente assiste tra natura e tecnologia non c’è in realtà un vero vincitore, ma per le strade, quando le luci sulle passerelle si spengono, forse sì.