Le strade di Milano sono stranamente piene di piccoli ometti che si muovono in gruppo, composti, impeccabili e molto a modo. Da dietro si distinguono: tutti con i capelli liscissimi color nero corvino. E poi, appena si girano, ecco paia e paia di occhi a mandorla. Sono loro, appassionati di moda, uomini d’affari e soprattutto buyer che vengono da Cina, Corea e Giappone, per darsi da fare fra le vie quadrilatero. Sono tanti Pat Morita che invece di allenare il proprio karate kid salgono direttamente sul ring.
La fashion Week milanese dedicata all’uomo parte da qui, dai marciapiedi roventi dove la stringata made in Italy (o made in Japan) affonda nell’asfalto, e poi arriva sulle passerelle, sotto il getto rigenerante dell’aria condizionata. Qui il Far East non smette di tenere la scena, non solo con la schiera di ‘mastri’ nelle prime file, ma anche sul defilè. Sì, perché quando si fa moda bisogna tener conto delle esigenze del mercato globale, così occidente e oriente sfilano a braccetto da Corneliani, lo show che ha aperto il primo giorno, sabato scorso.
Pyongyang e Mantova si incontrano in una giacca, con i colli guru e le abbottonature clericali, accanto ai decori concentrici come quelli del castello di San Giorgio. Seta, rosso e nero, tutto il sapore di quel mondo lontano si tocca con mano anche da Neil Barrett, dove ogni cosa e’ pulita, geometrica ed essenziale. Ma la vera Cina c’è sul serio, ed è’ quella di Jiwenbo, il primo stilista cinese a calcare le passerelle milanesi (dentro il calendario ufficiale). Da vero maestro, lui non ha bisogno di imparare quello stile casto e impeccabile, sa già tutto e si vede.