“Quanto siamo ingenui o presuntuosi nel giudicare i consumatori dei cosiddetti mercati emergenti”. Si può partire da questa frase pronunciata da Patrizio Bertelli davanti agli azionisti di Prada, per comprendere i profondi cambiamenti che attendono il settore e l’importanza della svolta varata dall’assemblea del 17 aprile di Camera nazionale della moda.
Un punto chiave, appunto, è la “presunzione” di essere ancora il centro dell’universo. Non è così. Non solo le vendite sono trainate dalle esportazioni. Oramai, è all’estero che si decidono anche i trend e i must delle stagioni che si susseguono. Ed è dall’estero che arrivano i più temibili competitor sul mercato domestico.
Viceversa, l’Italia rimane il centro dell’universo in un ambito che non ha mai saputo valorizzare: la filiera produttiva. Col paradosso che i governi di Washington e Londra oggi incentivano il rientro delle unità manifatturiere in patria, proprio per ricostituire ciò che l’Italia già possiede e continua a sottovalutare. Per giunta, la filiera si dimostrerà una chiave competitiva decisiva in vista di una sempre maggiore richiesta di tracciabilità del prodotto da parte del cliente.
Per affrontare tematiche di questo genere, ossia per tentare di essere nuovamente riconosciuta – e valorizzata – quale “centro dell’universo”, la moda italiana deve dimenticare la dimensione individualistica e cercare una dimensione differente. E qui le tracce arrivano a ciò che è accaduto in Camera della moda. La svolta è rappresentata dal fatto che, mentre per anni l’ente di via Morone era una sorta di strumento accessorio delle singole stelle, oggi la situazione parre ribaltata. L’entrata in prima persona dei principali nomi della moda nazionale, per giunta con sovrapprezzo nel biglietto, riconosce alla Camera identità propria. È come se le “stelle” avessero delegato parte del potere individuale a un superiore potere di sistema. Così la Camera, divenuta il baricentro dell’insieme scomposto di identità, spinte e potenzialità finora prive di punto focale, dovrà guidare la moda italiana ben oltre le problematiche del calendario. E tornare a rendere Milano, se non un centro dell’universo, quanto meno un aggregatore di forze e idee, stimolo di fondamentali alleanze con altre fiere nazionali, capace di dialogare e aprire nuove strade con mercati lontani, di valorizzare gli asset della filiera in sinergia con tutte le altre istituzioni.
La nuova Camera sintetizza il passaggio dalla “presunzione individuale” alla “umiltà condivisa” da parte della moda italiana. Non si vedeva da trent’anni. Cioè da quando si cominciava a diventare grandi.
David Pambianco