E ora le fabbriche chiudono. Le autorità del Bangladesh hanno infatti ordinato la chiusura di 16 fabbriche di abbigliamento considerate ‘pericolose’, in seguito ai controlli effettuati dopo il crollo del palazzo Rana Plaza alla periferia di Dacca, in Bangladesh. Il cedimento dello scorso scorso 24 aprile aveva causato centinaia di morti, che secondo l’ultimo conteggio riportato dalla stampa locale, sarebbero oltre 900. Come ha riferito un ministro del governo di Dacca ai giornalisti, gli stabilimenti colpiti dal provvedimento si trovano nella capitale e nella seconda città portuale, Chittagong.
Secondo i soccorritori ci sarebbero ancora diversi dispersi tra gli operai che erano al lavoro nelle cinque aziende di abbigliamento situate nel ‘Rana Plaza’, che producevano anche per alcuni brand occidentali (vedi articolo di Pambianconews del 30 aprile).
Dopo una riunione del gabinetto di governo dedicata alla sciagura del 24 aprile, il ministro del Tessile, Abdul Latif Siddiqui ha assicurato che ”tutte le aziende che sono a rischio saranno chiuse immediatamente” e ha annunciato un team di esperti per verificare il rispetto delle leggi anti infortuni e di sicurezza sul lavoro. La protezione civile ha inoltre compilato una lista di 234 fabbriche tessili ‘vulnerabili’ per il rischio di incendi. Ai proprietari sarà chiesto di predisporre con urgenza delle misure di prevenzione. Sotto pressione da parte degli acquirenti stranieri e in particolare dell’Unione Europea (destinazione della maggior parte dell’export tessile) il governo di Dacca sta prendendo provvedimenti per garantire la sicurezza sul lavoro degli oltre tre milioni di addetti del settore tessile.
Dopo la tragedia del Rana Plaza, inoltre, alcuni clienti stranieri hanno minacciato di cancellare gli ordini. Il comparto, che costituisce oltre l’80% dell’export, è fondamentale per l’economia del Paese che è uno dei più poveri al mondo, ma che negli ultimi anni era in forte crescita, proprio grazie all’outsourcing delle grandi catene mondiali dell’abbigliamento.